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Il giudice non può essere tiranno
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Disfatto lo sciopero, esaurita la liturgia della «vibrante protesta», cosa resta? L’iperbole, l’insulto, il tono sbagliato, la descrizione di una realtà parallela che non esiste, la stanchezza di una linea di opposizione politica che non aiuta la causa della giustizia giusta e finisce per dare un altro colpo all’autorevolezza dell’ordine giudiziario. I magistrati che incrociano le braccia contro il Parlamento sono una nota in cronaca surreale, certificano che il problema della Giustizia esiste, ma nel senso opposto a quello che intende l’Anm. I magistrati hanno il dovere di applicare le leggi, non di alzare lo scudo contro una riforma in discussione in Parlamento, il risultato è l’invasione delle competenze esclusive delle Camere, la tracimazione del giudice nel campo della politica. Questa grave distorsione del nostro sistema istituzionale va corretta per evitare la deriva del governo dei giudici.
Non c’è niente di eversivo nella separazione delle carriere (già discussa nell’Assemblea Costituente), quanto all’indipendenza delle toghe, l’articolo 104 della riforma Nordio è chiaro: «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente».
La premier Meloni, il sottosegretario Mantovano, il Guardasigilli Nordio, tutti hanno ribadito più volte la disponibilità del governo all’ascolto, ma non può esserci alcun diktat da parte dell’Anm. Francesco Cossiga il 19 giugno del 2002 disse nell’aula del Senato che «il peggiore dei governi possibili» è «il governo aristocratico dei giudici stessi o, ancor peggio, il governo dei pubblici ministeri, per loro natura inquisitoriali e nel nostro ordinamento ingiustamente irresponsabili dei loro comportamenti e delle loro azioni». Sono trascorsi 23 anni, è ora di voltare pagina. Il Parlamento è sovrano, il giudice non può essere tiranno.
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Testimone involontario: un ottimo film con meno successo di quel che meritava
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