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Anm, Cesare Parodi? Niente illusioni: ecco come le toghe rosse colpiranno ancora
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Cesare Parodi, 63 anni da compiere a maggio, procuratore aggiunto a Torino, appena salito al vertice dell’associazione nazionale dei magistrati succedendo a Giuseppe Santalucia, si trova un po’ nelle condizioni di Luciano Lama alla segreteria generale della Cgil nel 1984. Quando il retroterra politico prevalente di quel sindacato, che era costituito dal Pci, di cui il Pd oggi è un pallido, pallidissimo e pasticciato erede, gli impose una linea durissima di scontro con il governo di Bettino Craxi. Che aveva osato intervenire con un decreto legge consentitogli dall’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, socialista pure lui, sulla scala mobile dei salari, riducendola per fermare l’inflazione a due cifre che danneggiava il valore dei salari.
Un po’ come oggi il governo di Giorgia Meloni ha osato intervenire, con la riforma costituzionale della giustizia all’esame delle Camere, sulla separazione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici, e altro ritenuto l’Apocalisse dal sindacato delle toghe, secondo un’espressione usata dalla stessa Meloni reagendo alle polemiche esasperate dell’associazione magistrati. Lama, sia pure con un disagio uguale a quello che ho avvertito nel nuovo presidente del sindacato delle toghe chiedendo un incontro col governo, sia pure senza annullare o sospendere lo sciopero ereditato dal suo predecessore, si piegò una quarantina d’anni fa alla ragione politica della sua parte. Che prima oppose l’ostruzionismo all’intervento sulla scala mobile e poi, sempre sottovalutando la forza politica di Craxi, impose alla Cgil l’iniziativa referendaria conclusasi, l’anno dopo la morte di Berlinguer, con la più clamorosa sconfitta di quel sindacato e, più in generale, della sinistra. Una sconfitta da cui l’uno e l’altra non si sono più ripresi, consolandosi solo con la drammatica conclusione dell’avventura politica e umana di Craxi, come hanno dimostrato le recenti celebrazioni del venticinquesimo anniversario della morte in terra tunisina.
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A parte o al di là del pur significativo ricordo della vicenda sindacale e politica della scala mobile, si consumò nel 1987 uno scontro diretto frai magistrati e il governo Craxi sulla responsabilità civile delle toghe. Craxi perse Palazzo Chigi anche per questo, avendo preferito la Dc di Ciriaco De Mita piuttosto le elezioni anticipate che il referendum. Che tuttavia essa non riuscì a rinviare di un anno per il sopraggiunto rinnovo del Parlamento, essendone stato spostato lo svolgimento solo di qualche mese, entro lo stesso 1987. Referendum perso, anzi straperso dai magistrati. Quella sconfitta non produsse tuttavia i risultati politici che meritava perché i magistrati riuscirono a strapparead un ministro della Giustizia pur socialista come Giuliano Vassalli, al quale Craxi non seppe dire no per la stima reverenziale che ne aveva, una legge di disciplina della responsabilità civile studiata per vanificarla. Craxi pagò anche quell’errore nell’epilogo della sua vicenda politica per mano giudiziaria, con la complicità dei partiti che vollero o seppero cogliere quell’occasione per liberarsene.
Diversamente dal 1987, come sarà facile al nuovo presidente dell’associazione dei magistrati avvertire considerando gli attuali equilibri politici nel bivio in cui egli si trova, in caso di sconfitta referendaria sulla riforma della giustizia che porta il nome del guardasigilli Carlo Nordio, le toghe non possono contare in recuperi successivi. Il governo Meloni ha una solidità e una prospettiva ben superiori a quelle che le attribuiscono i sognatori della crisi: da Elly Schlein e a Giuseppe Conte, uniti solo nei sogni, appunto. Che però non possono spingersi oltre una crisi perché il cosiddetto “campo” dell’alternativa al centrodestra rimane diviso su tutto il resto. A poco varrà, credo, l’autofficina romana dove l’ex ministro del Pd Dario Franceschini ha sistemato il suo ufficio e spera di fare tutte le improbabili riparazioni e restauri necessari per evitare la rottamazione.
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