Avviso a manettari e amici: è finita la Repubblica giudiziaria
Cosa vogliono i magistrati? Questo si chiedono gli italiani. La risposta è la seguente: niente. Nulla deve cambiare, tutto deve restare esattamente com’è, perché il loro enorme potere di vita e di morte è figlio dell’immobilismo. Il governo dei giudici si è realizzato in Italia grazie all’intreccio dei poteri deboli della politica con il piccolo establishment economico e i mandarini dell’alta amministrazione, la mano invisibile della burocrazia. Molti pensano che il massimo della potenza i magistrati l’abbiano raggiunto nei primi anni Novanta, quando con Mani Pulite spazzarono via i partiti della Prima Repubblica.
Non è così, quello è il momento in cui hanno cominciato una lunga corsa che è andata avanti fino al 2022, quando una chiara vittoria del centrodestra ha scombinato i loro giochi e aperto la strada alla separazione delle carriere, riforma inserita nel programma della maggioranza, votata dagli elettori e ora all’esame del Parlamento sovrano. La magistratura nell’arco di trent’anni è diventata partito, ha selezionato la classe dirigente con inchieste distillate al momento giusto, ha esteso la sua rete (che va ben oltre i confini dell’Italia e coordina anche gli interventi delle polizie, guardare alla voce Corte Penale Internazionale) e in silenzio, come ha spiegato Sabino Cassese, «questa rivoluzione “clandestina” ha trasformato il giudice in legislatore». È un golpe vellutato che ha alterato il gioco democratico, fino a fare dell’Italia uno Stato dove il leader che vince le elezioni poi viene azzerato dai tribunali. Questo è successo fino a poco tempo fa. Poi, il fatto nuovo, la macchina della magistratura con Giorgia Meloni è andata in testacoda: ci hanno provato in tutti i modi a trascinarla nel fango con un’operazione incessante di «character assassination», ma hanno scoperto che la premier non è ricattabile, dunque da quella parte non si passa.
Il pilastro della strategia ora punta a demolire il programma di governo, prima di tutto quello sull’immigrazione, ma non solo. Ogni elemento della nuova legislazione passa per l’esame di magistrati di vario ruolo e livello, nel diritto civile, penale, amministrativo, contabile, internazionale. La ramificazione di questo potere “frenante” di controllo e interdizione è impressionante. Quello che i magistrati non possono controllare è il flusso della storia, lo spirito del tempo.
Molti tra loro ne sono coscienti e su questa consapevolezza sono riposte le speranze di chi crede nella politica e nella democrazia. Le toghe sono diventate impopolari, il loro cattivo lavoro (e la cattiva coscienza) è esposto, visibile a tutti, fa male agli italiani e alle istituzioni che li rappresentano, perché la giustizia è inefficace, il familismo è non solo fattore ereditario, ma camarilla di corte, un sistema di potere che oggi incontra un ostacolo: il governo Meloni, un centrodestra che ha compreso come sia fondamentale riportare la magistratura ai suoi compiti e al suo prestigio. Il Parlamento è sovrano, non il Csm con le sue correnti di potere che non sono mai state smantellate, ma oggi sono alleate in un’operazione di restaurazione e conservazione dei privilegi, nonostante i discorsi delle altissime cariche sulla necessità di cambiare. Perderanno la battaglia. Perché è la storia a decretare la fine di un’era, i giudici politicizzati possono mettere in scena la gazzarra, sventolare la Costituzione (che hanno tradito), fare proclami, continuare con il baccano, rendersi ridicoli, aprire inchieste con lo scopo di colpire il governo, ma il verdetto del tempo è chiaro, la Repubblica giudiziaria è finita.