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Anm, le toghe evocano di nuovo lo sciopero: "Noi non ci stiamo"

Brunella Bolloli
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L’associazione nazionale dei magistrati è tornata a minacciare lo sciopero contro la riforma della giustizia e non sarebbe neanche più una notizia se non fosse che si avvicina l’inaugurazione dell’anno giudiziario e le toghe lasciano intendere che non mancheranno azioni eclatanti, il direttivo organizzerà la protesta magari dopo la prima lettura o il via libera di Camera e Senato, ha detto ieri il presidente Giuseppe Santalucia, a conferma del clima teso tra governo e una parte della magistratura, quella che non s’arrende a una riforma ormai necessaria.

Sul fronte della giustizia ieri c’è stata anche l’ennesima fumata nera per eleggere i quattro giudici mancanti della Corte costituzionale: 377 schede bianche, 9 voti dispersi, 15 schede nulle con una maggioranza richiesta di tre quinti dei componenti dell’Assemblea, pari a 363 voti. Stamattina alle 9 si riunisce la conferenza dei capigruppo per tentare un’ultima mediazione. Manca infatti l’intesa sul nome del giudice “tecnico” e per l’opposizione il problema sarebbe tutto interno al centrodestra, in realtà pure il capo politico dei 5Stelle si è messo di traverso: «Se la maggioranza vuole scegliersi il giudice bipartisan, noi non ci stiamo», ha dichiarato.

 

In sintesi. Doveva essere la volta buona per completare il plenum della Corte e rispondere alle varie sollecitazioni del Colle, per chiudere la partita prima del 20 gennaio, data in cui si deciderà sull’ammissibilità dei referendum in materia di Autonomia, cittadinanza e jobs act, invece è tutto fermo. I tempi si potrebbero allungare ancora e arrivare alla prossima settimana, in questo modo la vicenda non si chiuderebbe neanche domani e se per l’opposizione la responsabilità è della maggioranza, per il centrodestra invece è colpa degli avversari.

Lo schema prescelto dai partiti, infatti, è quello di eleggere un giudice in quota Fdi, un altro per Forza Italia, un terzo per il Pd e un quarto, il tecnico, “condiviso”. Tuttavia, le serrate trattative delle ultime ore non sono bastate atrovare la quadratura del cerchio sui nomi e non è affatto certo che le prossime saranno più fruttuose. Al momento sul tavolo ci sono due nomi: il giurista Francesco Saverio Marini per Fratelli d’Italia, e il costituzionalista Massimo Luciani in quota opposizione. Almeno su di loro c’è l’ok.

Non ci sarebbe ancora il profilo in quota Fi, ma gli azzurri respingono l’accusa del centrosinistra di essere loro la causa dell’impasse: «Il nome lo indichiamo in un attimo», ha assicurato il capogruppo alla Camera, Paolo Barelli. C’è, infatti, una terna di “papabili”, anche se la voce che continua a girare con insistenza è quella che vede Andrea Di Porto, docente alla Sapienza, il profilo più gradito agli azzurri; alcuni però fanno notare che Di Porto è stato consulente di Fininvest e allora meglio non sovrapporre i piani.

In quota Fi si fa pure il nome dell’ex parlamentare Pdl, Roberto Cassinelli, avvocato genovese, entrato nella partita. Ma lo stallo non è solo sui desiderata di Fi: si tratta infatti anche sul quarto giudice, il cosiddetto “tecnico”, che dovrebbe andare bene a destra e sinistra. In pista c’era Gabriella Palmieri Sandulli, avvocato generale dello Stato, «l’opposizione però ha fatto saltare l’accordo perché la considera troppo di area». Unica certezza in questo puzzle per la Consulta: il profilo “tecnico” deve essere quantomeno una donna. E allora la rosa comprende, al momento, Valeria Mastroiacovo, Lorenza Violini e Giuditta Brunelli.

 

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