Open Arms, cronaca di un tentativo di omicidio politico
E adesso che vi rimane del vostro odio, gufi mascherati da troll sui social? Di qua c’era un’ansia che non ti dico, mentre voi sputavate veleno, speravate di mettere fuori gioco il nemico, una bella condanna su cui infierire. Lo so che cosa avrebbe rischiato Matteo Salvini se il verdetto fosse stato negativo, se l’accusa avesse “vinto” come al calcio scommesse. Quelli dell’io so’ io erano pronti a dominare di qui fino a chissà quando. Ci sono passato due volte e grazie a Dio – che c’è sempre – il Capitano della Lega ha superato indenne la bufera. Una giornata terribile per chi gli vuole bene, da Francesca in giù. Di buon mattino in quel carcere trasformato in tribunale, gli amici al suo fianco, le parole di accusa e difesa – grande Giulia Bongiorno! – e nella testa l’ultima Pontida, i sondaggi di ogni giorno, la politica. Certo, anche la galera era il pensiero di un giorno non comune. Hai iniziato da ragazzino a far politica e ora, a Palermo, a pendere dalle labbra dei giudici. Dai, alle 18 sappiamo tutto.
Macchè, ad un passo dalla sentenza, l’annuncio, rinvio alle 19,30. «Avvocato, che vuol dire?». Stanno litigando in camera di consiglio. Poi vedi arrivare il procuratore della Repubblica di Palermo in aula. E pensi subito male, evidentemente «condannano Matteo». Cominciano a sorridere i “compagni”, quelli che hanno affollato l’aula per tifare contro Salvini: ma la loro odiosa speranza è durata poco. Perché quello che contano sono le “due sentenze”. La prima: assolto. La seconda: il fatto non sussiste. Beccatevi questa, sono gli sguardi degli amici di Matteo, con un applauso interminabile. Gioia infinita, lacrime, abbracci. E come si fa a non pensare a tutto quello che è successo fino al giorno prima. E a quello che sarebbe accaduto in caso di condanna. Chi votò Lega – e succedeva anche per elettori di altri partiti del centrodestra – in quell’ottobre 2022 sognava Salvini di nuovo al Viminale. Lo stop agli sbarchi; il contrasto all’immigrazione clandestina; la sicurezza come Vange lo della politica. E invece no, fu bloccato da quell’inchiesta, «non opportuno» dicevano i palazzi che contano più del popolo.
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Ma per fortuna un altro Matteo, Piantedosi, fa bene la sua parte, del resto ne era stato il capo di gabinetto proprio al ministero dell’Interno al tempo di Capitan Salvini. Sarebbe stata durissima in caso di condanna. A me capitò, in primo grado, in due occasioni. Un processo si chiamava Laziogate, e il tribunale mi appioppò un anno e mezzo di galera. Poco dopo toccò al processo Napolitano, stavolta i mesi furono sei per vilipendio quirinalizio. Ma in entrambe le occasioni assoluzione piena in appello. Il problema era rappresentato dai sette anni complessivi del primo processo e dai nove del secondo. Fino a che non finisce sei un signore condannato, affronti gli sguardi, quelli che ti dicono «ti sono vicino» e non sai quanto sinceri e quelli che ti sbattono in faccia quel «sei finito» che ti fa male al cuore. Ogni passo un pensiero, caro Matteo, perché Silvio Berlusconi aveva proprio ragione. Solo chi non ci passa attraverso la giustizia non capisce che cosa voglia dire un avviso di garanzia, un interrogatorio, un processo, l’attesa di una sentenza. «Il processo è già una pena» affermava un grande giurista di nome Francesco Carnelutti. Ora, quella pena svanisce, e persino quel milione di euro che pretendeva la parte civile col consenso dell’accusa. Lo sappiamo noi chi dovrebbe pagare...
No, Matteo Salvini sta qui e ci sta ancora di più da ora in avanti. I gufi sono tristi nelle loro discariche sociali e tutti noi siamo molto contenti. Perché stavolta chi voleva Salvini in galera si era fissato con accuse insostenibili. Ancora meglio, insussistenti. Ricacciate in gola quelle richieste di dimissioni che eravate già pronti a urlare con i vostri megafoni. C’era chi diceva «se lo condannano gli fanno un favore». Vadano al diavolo, voi abituati al politichese. L’innocenza è un valore e si cammina ancora di più a testa alta. Lo volevano politicamente morto. Respira e vola, invece.