Magistratura, la giustizia si salva separando la carriera fra giudici e pm
A distanza di tempo mi vedo costretto a tornare sul delicato tema della separazione delle carriere tra magistratura inquirente (pubblico ministero) e magistratura giudicante. L’Associazione Naionale Magistrati, per bocca del presidente Santalucia, è decisa ad opporre strenua resistenza adducendo una svariata serie di motivi. Le faranno da supporto Partito Democratico e Cinque Stelle, invocando pretesi sbarramenti della nostra Carta Costituzionale. Ma è esatta tale impostazione? Dico di no, e trovo argomenti proprio nella nostra Costituzione.
L’attuale processo accusatorio si avvale di numerose situazioni in cui l’indagato non è adeguatamente garantito a fronte di una posizione dell’accusa fortemente rafforzata, soprattutto in tema di intercettazioni. C’è il rischio che al dibattimento arrivi un pm carico di elementi acquisiti senza il coinvolgimento dell’indagato ed una difesa con le armi spuntate. Tutto ciò in violazione della cosiddetta “parità delle armi” voluta dal costituente con la normativa sul processo giusto e malgrado il ruolo di parte attribuito all’organo della pubblica accusa. Di qui la necessità di una separazione delle carriere tra chi giudica e chi semplicemente accusa.
Non si dica che in tal modo sarebbero limitate l’autonomia e indipendenza, perché si tratta di garanzie che la Costituzione (art.107) riconosce - come è giusto che sia - a coloro che sono chiamati a giudicare. Per il pm invece il problema si presenta in misura divers,a in quanto esso “gode delle garanzie stabilite dalla legge sull’ordinamento giudiziario” (art. 107). I piani sono diversi e l’unica esigenza da salvaguardare è quella che l’accusa non sia ingabbiata con lacci e lacciuoli. Piuttosto, di fronte ad eccessi e a iniziative che sanno di politicizzazione (vedi da ultimo il caso del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti costretto a dimettersi ancor prima che ne sia acclarata la colpevolezza, e quello ancora più eclatante degli immigrati in Albania), è maturo il momento di chiamare i magistrati del pm alla responsabilità per le iniziative avventate che procurano danni agli indagati e minano la credibilità dell’Istituzione giustizia.
Si tratta di una iniziativa, se prenderà corpo andando fino in fondo, che a mio avviso non è contro i magistrati, ma può aiutare la giustizia ad essere migliore: e la giustizia ne ha bisogno, perché è in crisi di credibilità, come dimostra un sondaggio del 2023 secondo cui otto italiani su dieci invocano la riforma.
Tra essi sorprendentemente rientra anche Antonio Di Pietro, non dimenticato pubblico ministero del pool della procura di Milano all’epoca delle inchieste di Mani Pulite, il quale, in una lunga intervista concessa a questo giornale il 21 agosto 2024, ha parlato degli stratagemmi degli stessi pm per indagare sulle persone anche in assenza di reati già commessi, e si è apertamente pronunziato per la soluzione della “divisione dei ruoli” e per l’irrinunziabilità della riforma imposta dal processo accusatorio vigente in Italia.
di Bruno Ferraro
Presidente aggiunto onorario di Cassazione