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Immigrati, l'articolo-choc delle toghe rosse: "Va bene anche il lavoro nero"

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Giudici e toghe baluardo della legalità, tranne quando si parla di immigrazione. Contiene passaggi decisamente "particolari" il commento di Maurizio Veglio pubblicato sulla nuova edizione di Diritto, immigrazione, cittadinanza, la rivista online a cura di Magistratura Democratica e Asgi (associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione).

Il tema è caldissimo, e decisamente delicato. In primissimo piano, infatti, più che le questioni tecnico-giuridiche sembra esserci una battaglia puramente politica contro il governo di Giorgia Meloni e le sue politiche di lotta alla immigrazione clandestina, a partire dall'accordo Italia-Albania, con sullo sfondo il vero nocciolo della giustizia, la riforma sulla separazione delle carriere. 

Secondo le "linee guida" vergate da Veglio, avvocato del Foro di Torino specializzato nel campo del diritto dell’immigrazione e firma di Questione Giustizia, il giornale di Magistratura Democratica (la corrente di sinistra e più vicina al Pd dell'Anm) i migranti sono "risorse", termine a suo tempo introdotto nel dibattito politico dall'allora presidente della Camera Laura Boldrini. Nei loro confronti, si legge, "le autorità italiane devono valutare la vita sociale privata contro la dittatura dei permessi e dei confini". Secondo l'avvocato, l'Italia alimenta "la spirale selvaggia in cui è precipitata la politica migratoria" e non tiene conto che "i migranti hanno il diritto di desiderare".

Come sottolinea il Giornale, che riporta i passaggi più importanti dell'articolo, siamo dalle parti della sociologia politica che più ispira la controcultura della sinistra radicale. Da qui, ecco i consigli al governo italiano: "Qualora l’allontanamento comporti un sacrificio (del migrante, ndr) sproporzionato, le autorità dovranno astenersi dal disporlo". Il nostro Paese deve attuare "la costruzione di una cornice… il suo collante territoriale" per "rispettare la sfera privata del migrante dalle interferenze di uno Stato".

Fuori di burocratese, bisogna allargare i criteri dei ricongiungimenti familiari: "Le autorità devono tenerne conto, non certo attraverso una sconfortante aritmetica delle relazioni – che contrappone il numero di familiari nel Paese di origine a quelli presenti in Italia – né arrogandosi il potere di decidere cosa è meglio per i cittadini stranieri". Addirittura, sottolinea ancora il Giornale, si arriva a giustificare il lavoro nero:proprio per facilitare in qualsiasi modo la (presunta) integrazione del migrante nel nostro tessuto sociale. "Il contratto di lavoro costituisce un mezzo di prova qualificato… ma non rappresenta una condizione necessaria all’ingresso in una comunità lavorativa. È infatti palese che anche il cosiddetto lavoro sommerso consente l’accesso a quelle significative opportunità di sviluppare rapporti con il mondo esterno". Politica e giustizia dovrebbero favorire anche l'associazionismo religioso perché consente allo straniero di sentirsi "parte della sua comunità", compresa quella islamica che spesso risulta però avere un effetto opposto e ghettizzante quando applicata nelle sue pieghe più fondamentaliste e integraliste.

Ultimo "consiglio": "Non importa che il migrante impari l’italiano, anzi. Questo nasconde la trama razzista che rimanda alla caricatura del buon immigrato addomesticato che ha imparato l’italiano e ha cancellato le proprie tracce di estraneità". Tutto questo per garantire, come da titolo del documento, la "Tutela della vita privata degli stranieri in Italia", e pazienza se a farne le spese sia il resto della comunità. 

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