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Pietro Errede, il giudice sotto inchiesta denuncia: "Insulti omofobi dai pm"

Giovanni M. Jacobazzi
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Il comportamento degli inquirenti che hanno svolto le indagini nei miei confronti è semplicemente inqualificabile: mi hanno voluto umiliare e mettere alla berlina solo per il mio orientamento sessuale», afferma Pietro Errede, giudice del tribunale di Bologna, attualmente sospeso dal servizio perché coinvolto in un’inchiesta della procura di Potenza con l’accusa di aver dato incarichi a dei consulenti, quando lavorava a Lecce, in maniera illecita. Errede la scorsa settimana ha citato in giudizio lo Stato per responsabilità civile dei colleghi in quanto per tutti è ormai “pecorina”.

La scoperta è stata fatta prima dell’estate, al momento del deposito degli atti da parte del procuratore di Potenza Francesco Curcio e dei pm Maurizio Cardea, Vincenzo Montemurro e Anna Piccininni. Esaminando i brogliacci in pdf delle intercettazioni telefoniche relative alla sua utenza e svolte dalla Guardia di Finanza di Lecce, Errede aveva infatti scoperto che i files erano stati denominati “pecorina” 1, 2, 3, etc.

 

Il termine “pecorina” ricorreva solo per indicare il suo telefono e non quello degli altri indagati, per i quali la Guardia di Finanza aveva utilizzato la definizione “brogliaccio” 1, 2, 3, etc, senza alcuna particolare denominazione. «Non facciamo finta di nulla: sappiamo bene che il termine “pecorina” è volgarmente usato nel gergo di strada per indicare particolari posizioni sessuali», sottolinea Errede. «Durante l’attività di indagine - prosegue - è evidentemente emerso agli inquirenti il mio orientamento omosessuale che comunque atteneva alla mia personalissima sfera e non doveva sfociare in una gratuita offesa».

 

Per il difensore di Errede, l’avvocata Roberta Altavilla, «l’allusione esplicita all’orientamento sessuale non trova altra spiegazione, se non quella di voler umiliare e ledere l’immagine, denigrandone e ridicolizzandone la persona, soprattutto perchè la tipologia dei fatti per cui sono erano state disposte le intercettazioni telefoniche (reati contro la Pubblica amministrazione, ndr) nulla aveva a che vedere con le scelte sessuali».

Oltre all’effetto devastante del volgare nomignolo destinato al magistrato, si è poi aggiunta in queste settimane la sua diffusione che ha, ovviamente, scatenato battute di basso livello da parte di Forze di polizia, avvocati e magistrati interessati da questa vicenda giudiziaria. Il tutto per colpa di metodi operativi superficiali e sprezzanti dei più elementari diritti alla riservatezza e alla reputazione. «È chiara la portata discriminatoria e omofoba di quanto accaduto. Aver connotato in modo così volgare ed ultroneo il mio orientamento sessuale non ha alcuna finalità investigativa tranne quella del dileggio», aggiunge ancora Errede.

Il procuratore Curcio, ora promosso a Catania ed esponente di punta di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe sempre attenta ai diritti e alle battaglie Lgbtq+, aveva il compito di supervisionare gli atti della Guardia di Finanza. «Ma non lo ha fatto: ha provveduto alla cancellazione di questo termine becero solo dopo una mia richiesta formale», sottolinea Errede che ha anche denunciato al comando generale della Guardia di Finanza il colonnello Giuseppe Leo ed i suoi collaboratori proprio per il pregiudizio omofobo. Chissà se il Csm, sempre attento ad aprire pratiche a tutela dei magistrati che bocciano i provvedimenti del governo, ne aprirà questa volta una a favore di un giudice, peraltro allo stato incensurato, apostrofato in atti giudiziari con frasi da suburra.

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