Se il Csm approva l'impunità per le toghe
La maggioranza semplice degli atti sbagliati non bastava, era troppo poco. Al Csm, incaricato di fissare i criteri per misurare il «parametro della capacità» di una toga e stabilire quando il suo operato è «gravemente carente», hanno scelto quella dei due terzi. Dunque, nel procedimento di valutazione dei magistrati giudicanti, la lampadina rossa accanto a un nome si accenderà quando i casi di «riforma e annullamento delle decisioni per abnormità, mancanza di motivazione, ignoranza o negligenza nell’applicazione della legge, travisamento manifesto del fatto, mancata valutazione di prove decisive» rappresenteranno «oltre due terzi del complesso degli affari definiti». Mentre per i pubblici ministeri la fatidica soglia sarà calcolata sul numero dei rigetti ricevuti (sempre per abnormità, travisamento, mancata valutazione delle prove eccetera) in rapporto al totale delle richieste avanzate.
Non basta. Nel fascicolo per la valutazione del magistrato non saranno inseriti tutti i provvedimenti o gli atti che ha prodotto, ma un numero «non superiore a cinque per ciascun anno in valutazione». Chi sceglierà, e come, quelle poche cartelle da cui dipendono il giudizio sulla singola toga e il proseguimento della sua carriera? Qualcuno crede davvero che cinque atti possano essere rappresentativi di dodici mesi di lavoro, e non una selezione interessata e “fior da fiore”?
Impossibile, quindi, dare torto a Isabella Bertolini, consigliere laico del Csm eletto su indicazione di Fdi e presidente della commissione per le Valutazioni della professionalità, quando dice «potevamo essere più coraggiosi» e riconosce – excusatio petita – che «questo risultato non è stato facile da raggiungere, perché ha incontrato diverse opposizioni». O al deputato forzista Enrico Costa, che definisce i parametri per le nuove pagelle «una immunità bella e buona, sulla pelle della gente, nel silenzio generale della politica», per concludere: «Non ci si lamenti se pm che sfornano decine di arresti ingiusti o giudici che vedono tutti i loro atti annullati vengono promossi ai vertici di procure e tribunali. E se per i cittadini la giustizia italiana ha una credibilità ai minimi termini». Eppure la circolare sui criteri di valutazione della professionalità dei magistrati è stata votata da tutti i consiglieri del Csm, togati e laici, di destra e di sinistra: unico “ribelle”, l’astenuto Ernesto Carbone, consigliere laico indicato dal partito di Matteo Renzi. «Difenderò sempre l’autonomia, l’inamovibilità e l’autogoverno del magistrato», spiega Carbone, «ma ogni peso ha bisogno di un contrappeso, e lo avremo solo se le valutazioni di professionalità saranno più pregnanti e incisive».
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COSA DICONO I NUMERI
Quali siano la credibilità e l’efficacia del sistema disciplinare in vigore sinora lo dicono i numeri. Prendiamo il caso più grave, l’errore peggiore che possa commettere un magistrato: l’ingiusta detenzione inflitta a un cittadino. Costa ha tenuto il conto: tra il 2018 e il 2023 lo Stato ne ha risarcite 4.368, per le quali la collettività ha pagato 193.547.821 euro. Le azioni disciplinari avviate verso i magistrati responsabili di queste detenzioni sono state 87, che hanno dato esito a 44 non doversi procedere, 27 assoluzioni, 8 censure e un ammonimento, mentre 7 procedimenti sono ancora in corso. Tirando le somme, su 4.368 ingiuste detenzioni, appena 9 sanzioni: lo 0,2%. Solo in un caso il fascicolo risulta essere stato trasmesso alla Corte dei Conti, che ha sanzionato il magistrato: lo Stato aveva pagato 21.170 euro e il responsabile ne ha versati 10.425 – meno della metà - come danno erariale.
In generale, al procuratore generale presso la Cassazione, titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, arrivano 1.500 segnalazioni l’anno. Costui ne archivia il 95%, le azioni avviate sono quindi pochissime rispetto ai casi sottoposti. E dopo questa scrematura, una volta che le pratiche finiscono al Csm, solo nel 20-25% dei casi l’esito è una condanna: nel 2023, su 68 processi, le condanne sono state 15. Quanto alla valutazione della professionalità, per oltre il 99% dei magistrati i giudizi sono positivi. Tanto da far dire al guardasigilli Carlo Nordio che nelle loro pagelle «qualcosa non funziona. Non possono essere tutti bravissimi, intelligentissimi e operosissimi». Una situazione che oscilla tra la barzelletta e l’incubo, insomma. Davanti alla quale il Csm entrato in carica nel gennaio 2023, incaricato dalla riforma Cartabia di stilare i nuovi criteri di valutazione, avrebbe dovuto dare agli italiani disgustati dall’andamento della giustizia il segnale di una svolta. È stata scelta invece la continuità, la difesa dello status quo mascherata con un meccanismo di valutazione che già appena uscito dalla scatola, nuovo di pacca, si rivela inadatto all’opera. Figuriamoci quando verrà azionato da chi avrà tutto l’interesse a proseguire l’andazzo che si è visto.