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Brescia, albanese preso con chili di coca sfiora la liberazione perché non capisce l'italiano

Alessandro Dell'Orto
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Ha rischiato di uscire dal carcere e tornare libero - pur restando indagato per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti - anche se era stato arrestato in flagranza di reato. Anche se in auto nascondeva 11.760 kg di cocaina e anche se, secondo il Gip, c’era la possibilità di «recidiva in ragione del quantitativo di droga trovato, indicativo di profondi rapporti con alte sfere del narcotraffico». E allora, come è stato possibile?

Semplice, perché non capisce l’italiano e si erano dimenticati - o non l’avevano fatto per fretta, per superficialità o chissà quale altro motivo - di fornire all’indagato una copia dell’ordinanza, nella quale veniva applicata la misura cautelare della custodia in carcere, tradotta nella sua lingua madre, cioè l’albanese. «Per questo motivo - spiega l’avvocato Stefano Afrune - e per il fatto che nell’interrogatorio di garanzia sia stato utilizzato come interprete un altro detenuto albanese anziché un professionista, ho proposto il riesame, che l’altro giorno è stato accettato. Ieri il Tribunale ha annullato l’ordinanza impugnata disponendo la scarcerazione, ma poche ore più tardi è stata emessa una nuova ordinanza e il mio assistito è rimasto recluso».

Una storia - questa - ricca di colpi di scena, a tratti assurda, quasi da film, iniziata lo scorso 30 ottobre. Quando, cioè, T. Z., albanese di 27 anni in Italia da pochi mesi e domiciliato a Latina, incensurato, in attesa di permesso di soggiorno, operaio edile, è stato fermato a Torbole Casaglia, provincia di Brescia, mentre era alla guida della sua Ford Focus station wagon nera. La Guardia di finanza lo teneva d’occhio, lo aspettava ed è andata sul sicuro: durante la perquisizione del veicolo sono stati trovati, all’interno di due intercapedini della carrozzeria sopra i passaruota posteriori, nove panetti e due involucri sferici, all’interno dei quali c’erano 11.760 kg di cocaina (avrebbero potuto fruttare 1 milione e 200mila euro). Non solo. T. Z. aveva con sé anche 280 euro in contanti e due cellulari, mentre nella sua abitazione sono stati rinvenuti un foglio di quaderno con nomi e cifre, un altro quadernone con le stesse annotazioni e tre telefoni cellulari. «Il giorno dopo - racconta ancora l’avvocato Afrune - è stata fissata l’udienza di convalida con l’interrogatorio di garanzia (nel quale non ha risposto alle domande del giudice ndr), ma come interprete è stato utilizzato un altro detenuto albanese, anche lui in carcere per reati legati alla droga. È evidente che non avesse i requisiti né la professionalità per ricoprire quel ruolo. In più, poi, non è stata presentata la traduzione dell’ordinanza».

Così, dopo due settimane, tutta la faccenda è arrivata davanti al Tribunale del Riesame di Brescia. Il quale ha deciso di accettare il ricorso spiegando che «è affermabile che l’odierno ricorrente, anche nell’attualità, non parli, né comprenda la lingua italiana; depone in tal senso quanto riportato nella dichiarazione del detenuto all’ingresso in carcere; inoltre, non risulta dagli atti che l’indagato abbia mai lavorato o dimorato stabilmente in Italia, né che abbia avuto rapporti o contatti con soggetti italiani. Il gip, al momento dell’udienza di convalida era quindi a conoscenza che l’indagato non conosceva la lingua italiana e, a comprova di ciò, celebrava udienza di convalida avvalendosi di un interprete rintracciato, stante la tempistica ristretta imposta dalla necessità di provvedere alla convalida dell’arresto, fra i detenuti della casa circondariale di Brescia, previamente verificando la mancanza di ragioni di incompatibilità. L’ordinanza restrittiva, emessa successivamente all’udienza di convalida, non veniva tradotta (come prevede una sentenza della Cassazione del 2023 ndr) in lingua albanese di talché consegue la nullità della stessa». La scarcerazione, però, è stata evitata in extremis perché la Procura si è precipitata a predisporre una nuova ordinanza, subito eseguita dalla polizia giudiziaria. «Torneremo in Riesame - spiega l’avvocato Afrune - perché l’ordinanza è una copia della prima (ma questa volta con traduzione ndr) e contesterò la mancanza di flagranza di reato».

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