Il giudice Gattuso e il ricorso sugli immigrati in Albania: scritto prima della legge
Si è acceso un faro mediatico su Marco Gattuso, il magistrato di Bologna che ha presentato ricorso alla Corte di Giustizia Europea contro il decreto del governo che indica i Paesi sicuri di provenienza dei migranti irregolari dove questi possono essere rimpatriati.
La toga che sfida l’esecutivo è stata scannerizzata dai media. Tecnicamente si chiama character assassination, si indaga nel privato di una persona per trovarne spunti con cui attaccarla e delegittimarne l’attività professionale; pratica cara alla sinistra. Sappiamo così che si tratta di un attivista dei temi gender, padre grazie alla maternità surrogata, volgarmente chiamata “utero in affitto”, alla quale è ricorso con il suo compagno. Sappiamo anche che è di Magistratura Democratica, una delle correnti rosse delle toghe.
"Ecco chi vuole l'immigrazione clandestina". Meloni choc: minacciata di morte per l'Albania
In difesa di Gattuso è corsa la sezione dell’Emilia Romagna dell’Associazione Nazionale Magistrati. Le toghe parlano di «mostri sbattuti in prima pagina» e rivendicano che i giudici siano valutati solo sulla loro preparazione. «C’erano da tempo le premesse, ma non avremmo mai pensato che venisse setacciata la vita intima di chi esercita la giurisdizione solo perché colpevole di aver assunto una decisione sgradita al governo e ad alcuni Huose Organ» chiosano, dichiarando che «la misura è colma». A Libero, Giuseppe Santalucia, presidente dell’Anm, spiega che «sono inaccettabili intrusioni nella vita privata dei magistrati che decidono diversamente dalle attese del potere». Bisognerebbe però che le toghe si indignassero anche quando sono i normali cittadini, o i politici, indagati ma non ancora colpevoli, che si vedono spiattellata la loro vita privata anche quando non c’entra nulla con le accuse mosse, per deplorevoli fughe di notizie da procure e tribunali. Ma si sa che taluni avvertono solo le ingiustizie che vivono sulla propria pelle, non quelle che provocano.
Non è però certo per i suoi gusti personali in termini di sesso e neppure per la gestazione per altri che va criticato Gattuso. E neppure per le simpatie politiche, che ogni uomo ha, anche se quando si tratta di un servitore dello Stato, quale ogni giudice è, si richiede la forza di accantonarle e agire con imparzialità.
Quello che si può ricordare, al dottor Gattuso è l’articolo 36 del codice di procedura penale, che al punto C stabilisce che il magistrato ha “l’obbligo di astenersi da un giudizio se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie”. Insomma, se ha già pontificato al di fuori dell’aula di tribunale sul tema che è chiamato a giudicare “in nome del popolo italiano” e non di se stesso. È il cosiddetto diritto del giudicato alla terzietà del giudice.
A questo proposito, risulta che la toga, il 23 luglio dello scorso anno, quindici mesi prima dell’emissione del decreto che ha impugnato, alla Scuola Superiore della Magistratura abbia tenuto una dotta lezione su come vadano classificati i Paesi di provenienza degli immigrati irregolari. La particolarità è che la tesi accademica espressa da Gattuso allora è stata ricopiata pari pari dal medesimo nel suo recente ricorso ai giudici europei volto a vanificare il decreto del governo.
VERDETTO GIA' STABILITO
Oggi nel suo atto giudiziario come ieri nella sua intemerata politico-giuridico-filosofica, il magistrato, per sostenere che non esistono criteri oggettivi di sicurezza pre-definibili di un Paese, e lasciare alle singole toghe il potere di ribaltare le leggi italiane, mette nero su bianco esempi spericolati. Così ripete che «paradossalmente la Germania di Hitler era estremamente sicura per la maggioranza dei tedeschi, visto che la persecuzione è sempre esercitata da una maggioranza contro alcune minoranze (nella fattispecie, gay, oppositori politici, rom ed ebrei)». Ammette come Paesi di certo insicuri «solo i casi limite di Ceausescu e di Pol Pot».
La toga esegue un perfetto copia-incolla poi quando scrive che «il riferimento alla condizione di sicurezza della generalità della popolazione è carente di base giuridica» (e qui affossa non solo il decreto ma la possibilità stessa del governo di esprimersi in materia) sostenendo che «è la distinzione tra situazione particolare e persecuzione sufficientemente ordinaria a garantire chiarezza nella diversità tra le due categorie giuridiche» (la cui valutazione è allora rimessa al giudice).
Qui noi non contestiamo il ragionamento del dottor Gattuso; ognuno ha le sue idee. Né ci permettiamo di fargli lezioni di diritto. Semplicemente, sottolineiamo la suggestione che il ricorso è stato fatto un anno prima della legge che l’atto contesta. Fatta la legge, trovato l’inganno; si impara al primo annodi Giurisprudenza. Ma qui siamo all’interpretazione contra legem prima che la legge venga partorita.
Se si allarga il campo di visione dal tribunale di Bologna, o anche dalla sezione Immigrazione di quello di Roma, retto dalle decisioni di magistrati che pubblicamente appoggiano le ong più estremiste, come Sea Watch, promuovendo anche raccolte fondi, all’Italia come sistema, è forte la sensazione che lo scontro non si giochi tra governo e magistratura nel campo del diritto ma sia un confronto politico su come gestire l’immigrazione illegale tra esecutivo e toghe. Da una parte, il governo, che rivendica il potere di fare la politica migratoria dell’Italia, che è poi politica estera, sua competenza costituzionale. Dall’altra, una opposizione giudiziaria che tende ad applicare il diritto che ha nella sua testa, cercando di giustificarlo pescando sentenze da tutto il mondo e facendone legge universale.
All’italiano medio, che osserva tutto questo e non vuole l’immigrazione illegale si dovrebbe spiegare perché Berlino e Parigi, malgrado la Corte di Giustizia Ue, siano più dure di Roma contro i clandestini. La gente si chiede perché un giudice di Bologna non si preoccupa di risolvere i problemi dei suoi cittadini e applicare le leggi del suo Stato anziché ricercare, a colpi di ricorsi, una giustizia divina che fabbrica da sé. «Non conoscendo affatto la statura di Dio...» canterebbe Fabrizio De André.