Non solo hacker: al ministero della Giustizia anche i bug fanno la guerra ai cittadini
Nel ventaglio della certezza del diritto esiste persino la certificazione del falso, che sembrerebbe invece la sua negazione. D’altronde al raffinato saccheggio informatico del database più impenetrabile d’Italia, quello del ministero dell’Interno, fa da controcanto il bug incistato al ministero della Giustizia. Altro che cimici e trojan: dal dossieraggio da parte di abilissimi esperti a scapito di personalità di spicco, alla resa senza combattere di altri esperti e burocrati a vario livello a danno di poche migliaia di italiani che sui Tg e sui giornali non solo non ci vanno, ma spesso neppure sanno di una schedatura senza senso, senza logica e senza appiglio giuridico.
È accaduto pochi mesi fa a chi si è trovato a richiedere un certificato penale e uno sui carichi pendenti che, per chi non lo sapesse, sono gravati di spese di bollo e ammennicoli vari di segreteria, e di un extra in caso di urgenza. Ebbene, il sistema informatico del casellario del ministero della Giustizia rilasciava a domanda quello che il cittadino sapeva, ovvero un maiuscolo centrato e sottolineato «Nulla», contrappuntato però da quello della Procura della Repubblica con carico pendente di un procedimento come da Cancelleria del Tribunale: nel caso specifico, il processo si era estinto ben nove anni prima e chiaramente con esito favorevole. Carta canta, ma è carta stonata.
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Cosa fare, di fronte alla macroscopicità del controsenso? Chiedere spiegazioni e una rettifica con certificato pulito. Più semplice a dirsi che a farsi. Intanto, i bolli e i diritti vanno onorati. Nuova certificazione, stessa storia. Imbarazzo, almeno quello, e meno male che la cortesia non manca. La via d’uscita praticabile è quella di un’aggiunta firmata e timbrata che smentisca la certificazione col “falso positivo”. Una contraddizione in termini, con buona pace del diritto del cittadino ad avere la fedina penale immacolata non solo nella sostanza ma anche nella forma.
Indaga di qua, indaga di là, emerge che il sistema informatico che regge il rilascio delle certificazioni dei carichi pendenti a Roma sarebbe affetto da tempo di un “baco” informatico che non si riusciva a rimuovere perché l’azienda che a suo tempo realizzò il software non era più legata da un rapporto contrattuale. Il programma, semplicemente, reimmetteva in automatico tutto quello che veniva cancellato manualmente per aggiornamento e per rispecchiare la verità fattuale e processuale.
Non trattandosi di intelligenza artificiale ma di artificiale stupidità legata al codice binario, non c’era niente da fare: si sapeva ma non si poteva intervenire. Un caso può capitare, ma poi si scopre pure che in questa situazione c’era qualche migliaio di cittadini, il più delle volte persino ignari. Come uscire fuori dal labirinto kafkiano che riporta sempre allo stesso punto? Con un avvocato, ovvio, armato di buona volontà e con le spalle ben forti del diritto. Vai di nuovo con bolli e pertinenze, non sia mai detto, ed ecco la soluzione. Il certificato dei carichi pendenti esce pulito, ma è un esemplare unico, per di più corredato da un addendum nel quale si specifica che è stato «prodotto in maniera manuale e privato della falsa pendenza dovuta a un non allineamento della base dati del Tribunale». Della serie: alla prossima richiesta punto e daccapo.
Non sappiamo se nei pochi mesi trascorsi sia cambiata la società che si occupa del programma gestionale. E neppure se ne frattempo il maledetto e pervicace bug sia stato killerato dagli esperti informatici che ne hanno ridisegnato la funzionalità e l’aderenza alla situazione giuridica, di cui deve serbare la memoria e l’utilità sociale, per lo più in ambito lavorativo. Non sappiamo neppure se qualcuno abbia avuto problemi in caso di concorsi pubblici, con una «falsa pendenza» penale che può aver fatto storcere il muso a qualche superficiale perbenista, sperabilmente non in senso preclusivo. Certo, constatando dalla rutilante cronaca di questi giorni le imprese di cui sarebbero stati protagonisti i pirati del database del ministero dell’Interno, un’ideuzza sulle energie intellettuali da dirottare al bene suggerirebbe un’azione riparativa al ministero della Giustizia. Col diritto anglosassone questo sarebbe possibile, ma i tempi biblici italiani sconsigliano di confidare in questa soluzione di redenzione e di espiazione.
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