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Marco Patarnello, quando la toga rossa irrideva Silvio Berlusconi

Simone Di Meo
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Non si sarà stupito più di tanto Marco Patarnello a vedere sui giornali la sua mail con cui invitava il sindacato dei magistrati (Anm) a reagire alle riforme sulla giustizia del premier Giorgia Meloni. Non era d’altronde il suo esordio pubblico. «Indubbiamente l’attacco alla giurisdizione non è mai stato così forte, forse neppure ai tempi di Berlusconi. In ogni caso oggi è un attacco molto più pericoloso e insidioso per molte ragioni», ha scritto il sostituto procuratore della Cassazione nella ricostruzione offerta dal Tempo. «Innanzitutto», ha aggiunto, «perché Meloni non ha inchieste giudiziarie a suo carico e quindi non si muove per interessi personali ma per visioni politiche e questo la rende molto più forte».

Parole che hanno infiammato il dibattito politico facendo, appunto, passare in secondo piano le altre sue uscite sulla stessa agorà telematica dell’associazione togata. «Un luogo di confronto aperto», ci spiega una fonte di alto livello che ha frequentato quella mailing list per anni, «dove è naturale che tutti leggano tutto con libero scambio di idee e di diffusione. Chi sostiene che lì vigano riservatezza e segreto afferma una sciocchezza tant’è che, per un certo periodo, era in fase di valutazione la proposta di aprirla finanche ai giornalisti. Di sinistra, ovviamente».

Patarnello – giurano quanti lo conoscono – è un giurista particolarmente attento alle dinamiche della politica, come dimostra un suo Whatsapp del 2019 quando è in corso, su una chat di gruppo dell’Anm, la disputa sul futuro presidente della Repubblica in vista della conclusione del settennato di Sergio Mattarella (che sarà poi riconfermato nel 2022). La discussione verte sulla possibilità che Silvio Berlusconi riesca a conquistare il Colle. Una eventualità che spaventa gli altri giudici, ma non il sostituto procuratore del Palazzaccio che predice: «Non mandano Berlusconi al Quirinale, ma la Alberti Casellati (Maria Elisabetta Alberti Casellati, all’epoca presidente del Senato, ndr). Perché questo lo possono fare. Mandare Berlusca no». Un vaticinio che si rivelerà (in parte) quasi esatto.

 

Patarnello inizia a farsi notare dai media fin dal 1995 quando, da pretore, condanna la Cgil a un maxi risarcimento di 163 milioni di lire a favore di una ex dipendente sfruttata e poi licenziata. Nel 2005 proscioglie Carlo Taormina e il papà del piccolo Samuele Lorenzi, ucciso a Cogne il 30 gennaio 2000, per una presunta diffamazione nei confronti di un criminologo. A quel tempo risale il suo impegno nell’associazionismo di categoria che lo porterà a iscriversi a Magistratura democratica, l’ala rossa delle toghe.

Nel 2007 Patarnello proscioglie 66 disobbedienti accusati di aver fatto la «spesa proletaria» in una libreria Feltrinelli e in un supermercato a Roma, mandandone altri 33 a processo, compreso il capo delle tute bianche, Luca Casarini. Un anno dopo rinvia a giudizio Stefano Ricucci e Sergio Billè per la tentata scalata al Corriere della sera e perla discussa gara d’appalto per la gestione del patrimonio immobiliare Enasarco.

Da gip di Roma si trova pure a trattare il fascicolo su Francesco Storace, allora leader della «Destra», indagato per vilipendio del capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Storace sceglierà poi il rito immediato. Nel 2014, proprio sulla mailing list dell’Anm, Patarnello critica i colleghi che, nella disputa con l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, hanno difeso la chiusura per ben 45 giorni dei tribunali italiani in estate. Una super vacanza additata dall’ex segretario del Pd come un privilegio della Casta. Da conoscitore della comunicazione, Patarnello è sferzante: «Nel terzo millennio e nelle condizioni attuali non è possibile difendere la sospensione dei termini processuali dal primo agosto al 15 settembre. Difenderla o dare l’impressione di difenderla è stato un suicidio mediatico». Frattempo, passa dall’ufficio gip al tribunale di sorveglianza della Capitale.

 

E tra il 2018 e il 2019 ottiene dalla Repubblica e dal Corriere della sera la pubblicazione di due interventi sui temi del carcere e della lotta antimafia. Nel luglio 2023, Patarnello firma insieme agli altri componenti dell’Anm di Roma una durissima nota per difendere il gip Emanuela Attura che ha chiesto l’imputazione coatta per il sottosegretario Andrea Delmastro delle Vedove nell’inchiesta sulla presunta fuga di notizie sull’anarchico Alfredo Cospito.

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