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Patarnello, se un magistrato vuole il partito delle toghe

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Avviso ai riduzionisti in buona fede e ai finti tonti in servizio permanente effettivo: guardate che il messaggio del magistrato Patarnello, letto nella sua integralità e interezza, è – se possibile – ancora peggiore e più grave rispetto allo stralcio pubblicato e valorizzato l’altro giorno dal quotidiano Il Tempo.

Da trentasei ore, infatti, si registra un gran lavorio per tentare di circoscrivere o addirittura di negare il “caso”. C’è chi ci fa sapere che il magistrato in questione non è tra i più barricaderi (ottima notizia, non ne dubitiamo: figuriamoci allora i colleghi più accesi...), e c’è anche chi osserva – esaminando stralci e ritagli – che l’obiettivo della mail non era quello di “porre rimedio” alla Meloni ma alle divisioni interne alla magistratura.

E quest’ultima osservazione, presa alla lettera, è esatta: Patarnello registra il fatto che Meloni non ha inchieste giudiziarie a suo carico e dunque è più forte di altri suoi predecessori; che la magistratura è più debole e divisa rispetto al passato; che le toghe sono oggi più isolate nella società. Vero: il dottor Patarnello scrive proprio queste cose, non altre.

 

CONTROPOTERE

Peccato che si tratti – in perfetta buona fede: e non è necessariamente un complimento, in questo caso – di un ragionamento che assomiglia a quello di un dirigente di un partito politico in crisi che si rivolge ai suoi compagni invitandoli a una maggiore compattezza e a una strategia comune. E peccato che questo sia esattamente ciò che la magistratura non deve né essere né fare. Meno che mai individuando il governo in carica in un determinato momento come il proprio contraltare, come il soggetto al quale contrapporsi come contropotere (...)

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