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Il doppio scontro finale politica-magistratura tra Roma e Bruxelles

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I lettori di Libero arrivano preparatissimi (ma non certo rassegnati) a un momento tanto spiacevole quanto prevedibile, starei per dire a un grande classico della vita pubblica italiana: esattamente come ai tempi della caccia giudiziaria contro Silvio Berlusconi, e come – più tardi – con le indimenticabili chat di pm e giudici contro Matteo Salvini, anche stavolta le frasi e gli scambi di mail tra magistrati per mettere nel mirino Giorgia Meloni e la sua politica sull’immigrazione rendono inequivocabilmente chiaro quello che tutti già sapevamo. E cioè che una quota (c’è da temere: non necessariamente minoritaria) della magistratura si è trasformata in contropotere, in attore politico, in titolare (anomalo e abusivo) di un ruolo di opposizione ritenuto troppo fragile in Parlamento e comunque troppo spesso battuto nelle urne. E allora ecco la “supplenza” giudiziaria: l’opposizione è debole? Ci pensa qualcun altro.

Vecchia storia: già a partire dai primi Anni Settanta, senza chat e con apparente maggior autocontrollo nelle parole, giuristi e magistrati di sinistra teorizzarono “l’uso alternativo del diritto”: e cioè un approccio conflittuale e militante alla giustizia, la scelta di “prassi” applicative e interpretative ostili a una legislazione ritenuta (da loro) non sufficientemente rispettosa degli obiettivi costituzionali (sempre visti attraverso le loro lenti ideologiche).

Cinquant’anni dopo, siamo ancora lì: con più rozzezza di allora, e – tecnologia perfezionata nella Seconda Repubblica – con un discreto record in termini di governi e maggioranze fatti cadere o azzoppati per questa via (...)

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