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Giuliano Amato, ora dà lezioni sulla Consulta ma il suo allarme è fuori tempo massimo

Pietro Senaldi
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Se c’è una cosa per cui l’elettore di centrodestra è grato a questa maggioranza di governo, è di aver confinato Giuliano Amato nel nutrito esercito dei pensionati; di lusso, s’intende, perché gli assegni che percepisce l’ex un po’ di tutto, da Palazzo Chigi alla Consulta, dalla Sapienza all’Enciclopedia Italiana, sono invidiabili quanto legittimi. È questo che il presidente non perdona alla presidente, Giorgia Meloni, la quale, quando mezza Italia spalancò gli occhi sbigottita per la decisione di fare dell’ottantaseienne infaticabile collezionista di incarichi (poltrone, in volgare) la guida della commissione governativa sull’intelligenza artificiale, alzò le mani e disse: «Non nel mio nome», favorendo le dignitose e doverose dimissioni del suddetto dall’incarico.

Sembrano facezie, ma hanno implicazioni serie. Ieri l’amaro Giuliano, così soprannominato nei suoi anni d’oro per il vezzo di spargere cordoglio a ogni decisione, è tornato sul tema della Corte Costituzionale, già affrontato da lui all’inizio del 2024, quando parlò di «rischio deriva autoritaria», per il fatto che quest’anno scadono quattro giudici di nomina politica e il pallino in Parlamento ce l’ha il centrodestra. La premier in conferenza stampa si dichiarò «basita» e si chiese come mai la sinistra che vince ha diritto di esercitare ogni prerogativa ma, se vince la destra e pretende di fare lo stesso, dall’altra parte la accusano di voler instaurare un regime. Domanda inevasa tanto che, dieci mesi dopo, il Dottor Sottile, già presidente della Consulta, è tornato all’attacco. «La Corte non è la Rai, bisogna condividere» ha dichiarato, commentando il tentativo non riuscito, per mancanza di numeri, del centrodestra di nominare il giurista Francesco Saverio Marini, reo di aver collaborato alla stesura della riforma del premierato.

 

 

 

I FANTASMI DI GIULIANO
Al Parlamento spetta designare cinque toghe costituzionali su quindici. Altre cinque spettano al presidente della Repubblica e cinque ancora agli alti gradi della Magistratura. Già questo, considerato il fatto che il centrodestra non è mai riuscito a eleggere nessun proprio esponente al Quirinale e non è maggioritario nei tribunali, dovrebbe garantire chiunque sul fatto che nel Palazzo, così viene chiamata la sede delle toghe più alte, non c’è nessun rischio di deriva destrorsa.
Cionondimeno, Amato vede i fantasmi, parla di «maggioranze politiche che dichiarano guerra alle Corti» e ricorda che «la maggioranze parlamentari hanno approvato fascismo e nazismo».

A chi gli fa notare che anche lui, designato da Giorgio Napolitano, è stato una candidatura politica, replica che nel suo caso è stato un vantaggio, perché «chi ha fatto il parlamentare è più capace di distinguere il confine tra ragionamenti politici e parlamentari». Non è faccia tosta, è che il fu craxiano negli anni ha preso il virus tipico degli ex comunisti, che credono sempre di essere dalla parte della ragione e che norme e leggi possano diventare pieghevoli per meglio assecondarli.

 

 

 

CORTI ROSSE
Per gli interessati, le cose probabilmente andranno così: la maggioranza ci riproverà, con Marini, ma in ogni caso quando, a dicembre, scadranno gli altri tre giudici, troverà l’intesa con l’opposizione per il pacchetto intero; plausibilmente si andrà su due di centrodestra, un moderato e uno di sinistra, o su formule equivalenti e la quadra si troverà con il Pd o senza, se Elly Schlein deciderà di non scendere dall’Aventino.

Quanto alle contaminazioni tra politica e Corte Costituzionale, come già riassunto nel suo libro dal giurista Giuseppe Di Federico, con l’eccezione di Nicolò Zanon e di Giovanni Pitruzzella, chiamato a sostituirlo, negli ultimi decenni quasi tutte le toghe sono state scelte tra persone orbitanti nell’area del centrosinistra. Sia per affinità con gli ex inquilini del Quirinale sia perché, alla scandenza dei nominati dal Parlamento, era quasi sempe in maggioranza quella parte. Quanto ad Amato, che rivendica la sua sensibilità da costituzionalista in quanto ex parlamentare, si ricordano le polemiche quando la Consulta da lui rappresentata respinse il referendum sull’eutanasia. «Il quesito era troppo ampio, apriva la strada a una serie di casi paragonabili all’omicidio del consenziente», si giustificò. Dal centrodestra però lo accusarono di aver affossato la sola domanda che avrebbe consentito di raggiungere il quorum ai referendum (leghisti e radicali) sulla separazione delle carriere dei magistrati. 

 

 

 

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