Eni-Nigeria, condannati i pm De Pasquale e Spadaro: "Hanno nascosto le prove"
Il Tribunale di Brescia ha condannato i pubblici ministeri milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro a 8 mesi di carcere per il reato di "rifiuti di atti d’ufficio" per non avere depositato elementi che potevano essere favorevoli agli imputati nel processo Eni-Nigeria concluso con l’assoluzione definitiva di tutti gli imputati. I giudici hanno accolto la richiesta di condanna della Procura riconoscendo le attenuanti generiche e la sospensione della pena a entrambi. Il tribunale ha ritenuto i magistrati colpevoli e li ha condannati anche al pagamento delle spese processuali e a risarcire in solido con la Presidenza del Consiglio la parte civile, l’ex console onorario in Nigeria, Gianfranco Falcioni, assistito dall’avvocato Pasquale Annicchiarico, con danno da liquidarsi in un separato giudizio civile. Concesse le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena con non menzione della condanna nel casellario penale. I giudici hanno fissato in 45 giorni il termine per il deposito delle motivazioni.
I fatti contestati nel processo si sono verificati fra gennaio e marzo 2021. In particolare i pm De Pasquale, 67 anni ed ex procuratore aggiunto a capo del pool reati internazionali della Procura di Milano, e Spadaro, 48 anni oggi sostituto alla Procura europea Eppo, rispondono di 6 episodi di omissione d’atti d’ufficio per non aver depositato alle difese Eni gli elementi raccolti dal pm Paolo Storari durante l’inchiesta parallela ’Falso complotto Enì (processo oggi in corso) su un presunto maxi depistaggio ai danni dei magistrati che accusavano il colosso dell’energia, con al centro la figura dell’ex legale esterno della società, 'l’avvocato dei misteri', Piero Amara. Si tratta di tre documenti di 88 pagine, denominati ’falsità Armanna' ’dal nome di Vincenzo Armanna, ex manager Eni, grande accusatore della società petrolifera sulla ’steccà da un miliardo per aggiudicarsi il giacimento Opl 245. Tra gli elementi raccolti da Storari ci sono i messaggi whatsapp del 14 e 17 dicembre 2019, estratti in copia forense dal telefono di Armanna nel novembre 2020, da cui emergerebbe come avrebbe pagato 50mila dollari a due testimoni del processo Eni Nigeria, Tmy Aya e Isaac Eke, in particolare a uno di loro confermare in aula di essere l’uomo che gli si era presentato in Nigeria come "Viktor Nawfor" e di aver visto "gli italiani" imbarcare "trolley pieni di denaro", come prezzo della corruzione retrocesso a Eni.