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Strage di Erba, ecco perché il processo non sarà ripetuto

Bruno Ferraro
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Dopo 18 anni di carte, processi vari, udienze, appelli, ricorsi, discussioni a tutti i livelli, polemiche e trasmissioni televisive, par essere arrivata la parola fine perla strage di Erba che costò la vita a 4 persone, tra cui un bimbo di soli 2 anni, ed il ferimento grave del soggetto (Frigerio) divenuto un testimone chiave dell’inchiesta e da anni deceduto. Comprensibili le dichiarazioni rese a caldo dai diretti interessati, pro e contro l’ordinanza di inammissibilità della revisione adottata il 10 luglio 2024 dalla Corte di Appello di Brescia.

Meno comprensibile la reazione dei magistrati che, uscendo dal doveroso riserbo, hanno parlato con espressioni forti: «In troppi commentano il caso senza conoscere nulla degli atti» (Pg Guido Rispoli); «Non mi riconosco più in una magistratura che ha perso il metodo del dubbio. Sono schifato da questo sistema” (Procuratore di Milano Cuno Tarfusser, che aveva dato la stura alla richiesta di revisione del collegio difensivo per il nuovo processo a carico dei coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi).

 

 

Tre processi a distanza ravvicinata (26 novembre 2008, 20 aprile 2010, 3 maggio 2011 della Corte di Cassazione); tre condanne all’ergastolo; prove “granitiche” rimaste tali (confessione dei coniugi, macchia di sangue sull’auto di Romano, deposizione di Mario Frigerio, scampato alla mattanza grazie a una malformazione congenita alla carotide che rese non letale un fendente alla gola); dubbi risultati non decisivi per la riapertura del caso. Sia ben chiaro, ognuno può avere una sua convinzione innocentista o colpevolista, ad ognuno è lecito nutrire dubbi, magari senza alcuna autorità scientifica o nell’ambito di processi mediatici. Non siamo di fronte ad una novità, di cui si ritrovano precedenti numerosi negli ultimi 70 anni. Questa volta però mi corre l’obbligo di riportare la vicenda in ambito processuale, ove dubbi furono evidenziati ma vennero superati da ben tre collegi giudicanti.

Così per le circostanze delle due confessioni alla luce della successiva ritrattazione; così per l’ipotesi di un regolamento di conti e di una vendetta ai danni di Azouz Marzouk marito e congiunto di tre delle quattro vittime; così per l’assenza di una motivazione forte su screzi condominiali; così per l’assenza di foto delle macchie di sangue sull’auto; così per l’assenza di tracce delle vittime nella casa dei due condannati; così per il rifiuto di assumere le “nuove prove” portate dalla difesa che perciò pensa di utilizzare il rifiuto per un ricorso in cassazione per vizio di legittimità; così per le contraddizioni colte nella deposizione di Frigerio che dopo aver riconosciuto i due assassini parlò di un uomo di colorito olivastro più alto di 10 centimetri rispetto a Romano.

Quel che conta è che vale, dopo tre gradi, il millenario principio dello “stare decisis”, della definitività e irretrattabilità del giudicato. Revisione sì, ma solo in presenza di nuove prove che rendano evidente l’innocenza dei condannati: tali evidentemente non sono state ritenute quelle presentate a possibile discolpa i dei coniugi Romano. Almeno fino al prossimo e tombale verdetto della Corte Suprema.

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