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Giustizia, oltre 4mila innocenti in cella e i giudici non pagano mai

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Giovanni M. Jacobazzi
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Per contrastare il sovraffolamento nelle carceri, problema atavico, mai affrontato in maniera sistematica, e che ha già prodotto per il nostro Paese una lunga serie di condanne alla Cedu, il governo la scorsa settimana ha approvato il dl “carcere sicuro”. Il provvedimento, in particolare, punta a velocizzare le procedure per l’esecuzione della pena e le misure alternative, prevedendo inoltre apposite comunità per coloro che hanno problemi di tossicodipendenza e quindi sono difficilmente trattabili in una prigione. Ciò che non è stato affrontato riguarda invece il tema degli “errori” dei magistrati che con le loro iniziative giudiziarie contribuiscono al sovraffollamento, arrestando persone che al termine del processo risulteranno essere innocenti. Per le toghe che abusano del carcere preventivo di fatto non è prevista alcuna sanzione.

SCENARIO DA INCUBO

La questione è stata sollevata dal deputato di Azione Enrico Costa. «Basta leggere la relazione del Ministero della giustizia sulle misure cautelari e sull’ingiusta detenzione da cui emerge la totale impunità per chi toglie ingiustamente la libertà ad una persona: viene alla luce un quadro sconfortante», sottolinea il parlamentare. Dal 2018 al 2023, ad esempio, sono state risarcite dallo Stato ben 4.368 persone ingiustamente arrestate, per una somma complessiva di circa 200 milioni di euro. «Tanti errori», aggiunge Costa, «ma paga solo lo Stato perché di fronte a questi numeri, dal 2017 al 2023 sono state avviate 87 azioni disciplinari con il seguente esito: 44 non doversi procedere, 27 assoluzioni, 8 censure, 1 trasferimento, 7 ancora in corso».

Le sanzioni ci sono state solo nello 0,2 per cento dei casi. «I magistrati non pagano praticamente mai», conclude il deputato responsabile giustizia del partito, ricordando che nello stesso periodo le loro valutazioni di professionalità erano state positive per oltre il 99%. Per capire come sia possibile tutto ciò bisogna tornare al 2006, anno della Riforma della giustizia voluta dall’allora Guardasigilli del governo Prodi due, Clemente Mastella, con cui è stato dato al procuratore generale della Cassazione, titolare per legge dell’azione disciplinare, una sorta di potere assoluto, eliminando qualsiasi verifica sull’esercizio del suo operato. Il procuratore generale, in assenza di controllo, può procedere alla pre archiviazione in istruttoria senza che la Sezione disciplinare del Csm, che poi dovrà giudicare il magistrato, anche solo lo sappia o, successivamente, possa conoscerne le motivazioni.

Il risultato? Per rimanere al caos Procure scoperchiato con l’indagine nei confronti dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, casi assolutamente assimilabili sono stati trattati in maniera opposta. Alcuni sono stati perseguiti, altri (i più) sono spariti nelle nebbie. La Procura generale ha fatto quel che ha voluto senza che anche solo si potesse sapere in base a quale ragionamento e men che meno che si potesse sindacare. La singolarità di questa vicenda attiene però gli stessi magistrati: da un lato si battono per evitare che venga abolita la discrezionalità nell'azione penale, dall’altro non dicono nulla per quella disciplinare. Per mettere una pezza a questo meccanismo che ricorda il marchese del Grillo, l’allora l’avvocato Stefano Cavanna, ex componente laico del Csm eletto in quota Lega, aveva suggerito di proporre l’incolpazione “coatta” nel disciplinare, anche nell’intento di ridurre i pericoli del condizionamento delle correnti.

 

 

 

AL LAVORO SUI TROJAN

La riforma della custodia cautelare, comunque, è stata già annunciata da Carlo Nordio durante il vertice di maggioranza l’altro giorno ed è stata confermata ieri dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani in un’intervista al Corriere. Anche se di testi scritti «non ce ne sono», nel centrodestra si assicura che i vari uffici legislativi siano «già al lavoro». E sempre in tema di giustizia, uno dei prossimi fronti riguarderà infine l’utilizzo del trojan, il virus spia che trasforma il cellulare in un microfono sempre acceso, consentendo al maresciallo di ascoltare anche i sospiri dell’indagato. Previsto per i reati più gravi, quelli di mafia e terrorismo, era stato esteso nella scorsa legislatura anche a quelli contro la Pa. I senatori Pierantonio Zanettin (Forza Italia) e Ivan Scalfarotto (Italia Viva) hanno già depositato un testo per una sua rivisitazione. Se ne discuterà dopo la pausa estiva.

 

 

 

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