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Processi penali e politici, la tentazione dei giudici di farsi le leggi da soli

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Jules Michelet, storico francese e autore della monumentale opera di 19 volumi dal titolo Storia di Francia, nel 1847 scrisse che «ogni potere ha bisogno del potere giudiziario; esso al contrario, fa a meno degli altri. Datemi il potere giudiziario e tenetevi le vostre leggi, tutto quel mondo di cartacce; io mi incarico di far trionfare il sistema più contrario alle vostre leggi». In queste poche righe vi è la consapevolezza del predominio del giudice sulle leggi; egli, con la sua interpretazione personale o creativa, può compiere un’eversione sulla legge, svolgendo di fatto una funzione legislativa, sostituendosi al legislatore.

Si tratta, come descritto dallo storico francese, di uno spaventoso potere che sovrasta ogni cosa, come la mostruosa figura mitologica del Leviatano che si nutre incessantemente di ogni altro potere, annientandolo. Questo dominio dell’ordine giudiziario si realizza per quelle fattispecie fumose di reato in cui l’azione delittuosa è descritta dal legislatore in modo talmente vago e generico che l’interpretazione giudiziale è incontrollabile e soprattutto imprevedibile. Si pensi al reato di concorso esterno, al traffico di influenze illecite, al voto di scambio ed altri anco ra.

UN RUOLO SALVIFICO?
Nei processi penali che vedono imputati esponenti politici è assai frequente, come abbiamo riscontrato negli anni, che si pervenga all’assoluzione verso imputazioni che appartengono più all’ordine politico che a quello penale. Ma la magistratura dovrebbe mantenere il proprio raggio di azione esclusivamente negli stretti limiti della rilevanza penale, mentre talvolta essa si attribuisce una funzione etica o salvifica che non le compete e che non può e non deve rientrare nel processo penale.

Non siamo ancora in grado di affermare se i casi Toti e Brugnaro rientrino in questo ambito; però le critiche che da più parti si sono levate dalla lettura degli atti lasciano presagire che potrebbero essere ulteriori testimonianze di questa deriva e cioè che vi possa essere unicamente una responsabilità politica che però non ha alcun rilievo per la legge penale.
Si ricorda il caso del ministro francese Dufoix imputata per omicidio colposo per via delle trasfusioni di sangue infetto da HIV, la quale dichiarò, con una frase divenuta ormai famosa, di essere: «Responsabile, ma non colpevole». Si ammette una responsabilità in termini politici, ma nessuna colpa o responsabilità da reato, come poi verrà accertato dalla corte.

LA SOLUZIONE
Ma, come si vede, questa pericolosa tendenza non è solo una prerogativa del nostro paese, ma è frequente in tutta Europa: basta vedere cosa è successo di recente in Belgio con il Qatargate, in Portogallo con la vicenda del primo ministro Costa erroneamente riportato in una intercettazione, in Spagna con il processo per traffico di influenze e corruzione nei confronti della moglie del primo ministro Sanchez, in Francia con il processo al ministro della Giustizia Eric Dupont-Moretti per abuso di ufficio e presunti conflitti di interessi. È possibile un rimedio? Solo rivitalizzando il potere politico che attraverso riforme legislative crei argini e riduca la discrezionalità interpretativa, anche attraverso l’abolizione dei reati dalla formulazione generica e indefinita.

di Pieremilio Sammarco
Professore ordinario di Diritto Privato Comparato

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