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Romanelli: "Non dimettendosi Toti difende la Costituzione"

PIetro Senaldi
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 «La vicenda Toti è la cartina di tornasole del fatto che ci troviamo in un momento molto delicato del confronto tra potere politico e potere giudiziario iniziato con Tangentopoli e del quale la nostra Repubblica è tuttora vittima. O la politica ce la fa adesso, a ristabilire la propria autorevolezza, o non ce la farà mai più».

Su cosa scommette, avvocato? 
«Ci sono segnali confortanti, come il disegno di legge Nordio, che impedisce ai pm di intercettare le conversazioni tra gli imputati e i loro avvocati, che qualcosa si sta muovendo nel senso del riequilibrio. Ma il passaggio fondamentale sarà la separazione delle carriere e il caso Toti ne è l’ennesima conferma».
In che senso? 
«La sensazione è che spesso il Giudice per indagini preliminari e talvolta anche il Tribunale del Riesame si muovano quasi condividendo la medesima prospettiva della Procura, ovvero quella di reprimere un crimine. Secondo la legge, al contrario, il gip dovrebbe essere il primo censore dell’operato dei pm, dovrebbe porre un limite a questo potere, assicurando il rigoroso rispetto delle garanzie, invece l'esperienza ci insegna che spesso questo non accade».
 

Per Rinaldo Romanelli, genovese doc, «è evidente che il pericolo di reiterazione del reato sul quale si fonda la misura cautelare a carico di Toti trova la causa nella funzione di presidente della Regione Liguria, e dunque le dimissioni lo farebbero venire meno, però la motivazione che si rinviene nell’ordinanza del Riesame sembra quasi offensiva nei suoi confronti, arrivando ad affermare che non può essere liberato perché non è in grado di distinguere tra comportamenti leciti e reati, quasi fosse un bambino». Fallito il tentativo di ottenere le dimissioni di Toti subito, in cambio della libertà, la Procura ora spera di centrare l’obiettivo attraverso la paralisi della Regione e il logoramento del centrodestra. «Non voglio entrare nel merito di questi aspetti prettamente politici, però» spiega il segretario dell’Unione Camere Penali Italiane, «mi limito ad asservare che l’Italia è scivolata al quartultimo posto, tra le 46 nazioni dell’Europa, quanto a fiducia dei cittadini nella giustizia e questo è un male per tutti. La gente non ha più fiducia nei magistrati».

Avvocato, la resistenza di Toti può servire a guarire i mali della giustizia? 
«Mi parrebbe eccessivo attribuire questa rilevanza alla vicenda Toti. Ricordiamo però che le responsabilità politiche e le eventuali dimissioni si dovrebbero muovere su un piano differente e non necessariamente vincolato alle azioni giudiziarie. Purtroppo ci siamo abituati invece al fatto che un politico, anche se semplicemente indagato si vede costretto alle dimissioni, magari dicendo che lo fa per potersi difendere meglio. Anche questa è la manifestazione della subalternità della politica al potere giudiziario».
Nel caso di specie le esigenze eccezionali ci sono mai state? 
«Io direi che le motivazioni con cui il Riesame ha rigettato la richiesta di libertà sono irrazionali. Sostenere una sorta di incapacità d’intendere di Toti, che non sarebbe in grado di capire quando rischia di essere accusato di commettere reati, replicando i comportamenti per i quali è stato arrestato, è perfino oltraggioso nei suoi riguardi».
Perché? 
«Perché chiunque può rendersi conto che non è sostenibile sul piano logico che, dato che Toti non nega la materialità dei fatti, ma afferma di non aver messo la sua funzione al servizio di chi gli ha erogato finanziamenti, essendosi limitato a svolgere attività di mediazione tra in vari interessi in gioco, col fine ultimo di perseguire gli interessi pubblici, allora non è in grado di distinguere il bene dal male e dunque, se liberato ricomincerebbe come prima, come se nulla fosse successo. Nel caso di specie si realizza poi un altro paradosso».
Allude all’impossibilità di infliggere ai governatori misure di interdizione dalla pubblica funzione? 
«Certo. La norma che non consente che possa essere interdetta una funzione elettiva, com’è quella di governatore, mira a tutelare la volontà popolare e la funzione pubblica da un provvedimento giudiziario che, è bene ricordarlo, viene applicato a chi è assistito dalla presunzione di non colpevolezza; nel caso in questione invece, poiché non è possibile applicare la misura interdittiva, viene applicata quella dei domiciliari, che raggiunge il medesimo obiettivo di interdire la funzione pubblica, ma con mezzi molto più invasivi, perché limita l’indagato nella sua libertà personale».
Questo porta acqua al mulino di chi vede nei domiciliari a Toti una motivazione solo politica? 
«Io mi limito ad osservare che non vedo una motivazione plausibile e razionale e aggiungo che è tempo di separare le carriere. Il fatto che essi condividano gli uffici, abbiano la stessa formazione, il medesimo organo di governo, identici meccanismi di carriera, necessariamente siano rappresentati da correnti comuni, fa sì che si sviluppi un idem sentire che danneggia la giustizia, le fa perdere autorevolezza. Questi effetti si sentono particolarmente nella fase delle indagini preliminari, nella concessione delle autorizzazioni ad intercettare, nelle proroghe delle indagini e appunto, nell'emissione delle misure cautelari. Poi, magari, dopo anni, il Tribunale o la Corte di Appello assolvono, ma la vita dell'indagato è rovinata, magari un'azienda è fallita, una carriera politica è finita, o una Regione ha perso il Presidente democraticamente eletto che la guidava. Nella fase delle indagini si ha, purtroppo, spesso la sensazione che nessuno voglia ascoltare le ragioni dell'indagato e se dici qualcosa il risultato è che viene utilizzato contro dite».
Come il fatto di protestare la propria innocenza sostenendo di non ritenere di aver commesso reati? 
«In questo caso abbiamo visto che se lo fai, ti dicono che non sai distinguere tra bene e male; se sostieni di aver agito nell’interesse della Liguria, ti rispondono che non sai distinguere tra i doveri di un amministratore pubblico e la libertà d’azione di un amministratore privato e quindi c'è pericolo che reiteri i reati contestati. Sono curioso di vedere se motivazioni così apodittiche e illogiche resisteranno al giudizio della Cassazione».
Come si possono reiterare eventuali reati in realtà già conclusi, come l’assegnazione di un Terminal o la corruzione elettorale senza voti in vista? 
«Anche questo è un tema. Per il codice di rito, il pericolo di reiterazione deve riguardare fatti specifici e concreti e non basarsi su teoremi e congetture, o sconfinare in valutazioni di carattere generale e astratto, non uno stile di governo che nessuno ha ancora condannato ma che la Procura non condivide. Le esigenze cautelari devono essere ancorate a fatti concreti, non condannare stili di vita. Il guaio è che l’indeterminatezza di molte fattispecie di reato ha fatto sì che ormai anziché limitarsi a un accertamento dei fatti e della loro mera rilevanza penale, si estendano le proprie valutazioni al campo morale. Ma nelle aule di giustizia il diritto penale, l'etica e la morale sono e devono restare nettamente distinti».
Le procure hanno troppo potere? 
«Basti pensare che l’opinione pubblica conosce i nomi di moltissimi pm, che in Italia sono circa duemila, ma ignora quello di tutti gli altri giudici, che pure sono oltre ottomila. Quasi tutti i Presidenti dell’Anm degli ultimi trent’anni vengono dalle procure. In televisione vediamo solo pm a discutere di ogni tema, della giustizia, ma non solo, con l’aura di chi impersonifica la legge, ma il pm è solo l’accusa che è una parte del processo, non è il portatore della verità e il custode della morale. Purtroppo questo è un ruolo acquisito in ragione della debolezza della politica e che alcuni magistrati impersonano con piacere, anche in danno di tutti gli altri e sono molti, che svolgono le loro funzioni lontano dai clamori mediatici. Ormai i pm si permettono di processare, mediaticamente, perfino i giudici che non danno loro ragione. Gli esempi sono purtroppo molti e quando questo accade solitamente sono solo gli avvocati dell’Unione delle Camere Penali ad intervenire a tutela di questo o quel Giudice».
Cosa pensa del fatto che una parte del Csm voglia aprire un fascicolo sulla decisione del Riesame contro Toti per «l’abnormità» della motivazione? 
«Penso che ormai la situazione di conflitto tra politica e magistratura sia talmente alta da non potersi più rimandare una riforma che riequilibri i due poteri. La separazione delle carriere, il sorteggio dei membri del Csm, la creazione di Alta Corte per il disciplinare, sono interventi che rispondono in modo adeguato allo squilibrio di poteri tra pm e giudici e alle devianze del correntismo assurto all’onore delle cronache con Palamara ma, in realtà, presente da molto prima, ma auspico vivi siano anche altri interventi, per esempio inerenti il tema della valutazione della professionalità delle toghe».
 

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