Liguria-Venezia, è partita la grande caccia dei pm al centrodestra
Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, è un imprenditore che ha fatto i soldi prima di entrare in politica, nel 2015, come sindaco di Venezia. È figlio di un operaio sindacalista e di una maestra. Viene dal popolo, per questo quando scese in politica, pur definendosi né di destra né di sinistra, fu sostenuto dal centrodestra.
Aveva 23 aziende a quel tempo, dall’edilizia allo sport, dalla manifattura ai servizi, radunate nella Holding Umana, di cui era presidente. La prima mossa che fece come politico fu rinunciare alla carica di presidente di Confindustria Venezia, che ricopriva, dimettersi da tutti gli incarichi e affidare le proprie attività a un cosiddetto “blind trust”, un consiglio direttivo incaricato di amministrarle nella più totale indipendenza, senza obbligo di rendicontargli alcunché. Da che è sindaco, non ha mai incassato lo stipendio, devoluto in attività di beneficenza. Non si è fatto neppure pagare i contributi, tant’è che ha un buco previdenziale di nove anni.
«A SUA TUTELA»
L’amministratore perfetto. Il manuale vivente di un sindaco che si pone al di sopra di ogni sospetto. Un errore però lo ha fatto anche lui, oltre a quello originario di farsi appoggiare dal centrodestra. Brugnaro ha lasciato correre le voci che lo vogliono prossimo candidato alla presidenza del Veneto, in sostituzione di Luca Zaia, al quale al momento è precluso il terzo mandato. Si ipotizza anche uno scambio tra i due: il governatore finirebbe in Laguna e il sindaco in Regione. Sarà il caso, ma poco dopo l’uscita di queste voci, a Brugnaro è arrivato un avviso di garanzia: indagato, “a sua tutela”, precisa beffarda la Procura di Venezia, come se gli avesse fatto un favore e non un dispetto. Succede infatti che un suo assessore, Renato Boraso, sia stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta che vede anche altri indagati, tra i quali il capo di gabinetto del sindaco e il direttore generale del Comune, in una vicenda di tangenti legate alla vendita a prezzo scontato di un palazzo pubblico e alla realizzazione di un parcheggio vicino all’aeroporto. Il sindaco non c’entra nulla, ma il caso vuole che l’acquirente dell’immobile oggetto dell’inchiesta, l’imprenditore cinese Ching Chiat Kwang, nel 2016-2017 si sia dimostrato interessato a comprare un’area cittadina edificabile di proprietà di Brugnaro da prima che iniziasse il suo mandato. La risposta era stata: finché sono sindaco non vendo e non tocco la zona, non voglio guai, grazie ne riparliamo.
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Sette anni dopo, l’episodio è il pretesto per far trascinare il sindaco in un’inchiesta che palesemente non lo riguarda ma che farà in modo che quando, a fine anno, dovrà decidere se correre per la Regione Veneto, sarà costretto a scegliere gravato dal peso di un probabile rinvio a giudizio. «Forse non era necessario emettere l’avviso di garanzia nei suoi confronti» ha dichiarato il procuratore capo di Venezia, Bruno Cerchi, «ma lo abbiamo fatto a suo favore, per correttezza, visto che stiamo valutando l’impeccabilità della gestione del suo blind trust».
Se non fosse pronunciata da un magistrato italiano, ci sarebbe da non crederci: adesso finire indagato diventa un favore, si immagina che un eventuale rinvio a giudizio sia considerato dalle Procure un regalone, perché dà l’occasione di dimostrarsi innocenti, e una condanna un’autentica benedizione del Signore, un po’ come le stimmate di padre Pio. Il fatto che il “favore” costi centinaia di migliaia di euro in parcelle di avvocati, un paio di lustri di agibilità politica limitata e probabili conseguenze sulla salute psichica e mentale, sono trascurabili effetti collaterali, agli occhi della magistratura inquirente. Potessimo restituirglieli, un giorno, favori di questo genere, avrà probabilmente pensato Brugnaro...
Non serve avere la tessera d’onore del club dei complottisti per unire i puntini del filo rosso delle Procure, perché pare che quella di Venezia, quanto a militanza, poco abbia da invidiare a quella di Genova. Laddove le amministrazioni di centrodestra funzionano particolarmente bene, a circa un anno dalla scadenza della legislatura, è frequente che capiti un’inchiesta a imbrogliare la percezione che i cittadini hanno dei loro amministratori. Vai a spiegare al cittadino che non divora i giornali e non vive di pane e politica che Brugnaro è indagato nel suo interesse, o che il presidente della Liguria, Giovanni Toti, è mantenuto dalla magistratura agli arresti perché, ritenendosi e professandosi innocente, può continuare a commettere un reato per il quale non è mai stato condannato. «Non sa distinguere tra ciò che è lecito e ciò che non lo è» sostiene, commentandone l’interrogatorio, l’ordinanza che ha rigettato la sua domanda di scarcerazione.
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L’OCCHIO DELLE PROCURE
Il fatto che sia Toti sia Brugnaro non abbiano alle spalle uno dei tre grandi partiti della maggioranza è perfettamente funzionale allo scopo di scardinare le loro giunte. I due sono cani sciolti, quindi più facilmente aggredibili, perché la politica romana difficilmente si straccerà le vesti per loro. Sono anche due grandi amministratori approdati alla politica dopo una vita di successi professionali. Le loro disavventure giudiziarie fungono da perfetto monito per quanti, dalla società civile, sarebbero pronti a candidarsi come amministratori e farsi sostenere dal centrodestra: occhio, le procure vi guardano e possono rovinarvi la vita in ogni momento.