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Giovanni Toti? Vietato criticare i giudici

 Toti

Pietro Senaldi
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L’inchiesta di Genova che ha portato agli arresti domiciliari di Giovanni Toti ha fatto un salto di qualità. Le prove emerse a carico del presidente della Regione Liguria restano per lo più presuntive e indiziarie, ma parte della magistratura è passata all’intimidazione. Guai all’indagato che vuole difendersi senza prima dimettersi. E attenzione anche a chi, studiando la pratica e analizzandola dal punto di vista giornalistico, si è fatto l’idea che l’impianto accusatorio abbia delle pecche e che ci sia molta, troppa, politica in questo processo che non inizia mai però vede già un uomo privato della propria libertà da sei settimane (per la verità sono quattro; ndr) e spiato per quattro anni. Una parte dei giudici che compongono il Consiglio Superiore della Magistratura ha chiesto ufficialmente al medesimo di intervenire a tutela della Procura di Genova e del gip Paola Faggioni, per difenderli dalle critiche della stampa. «Le critiche di alcuni ministri (Meloni, Salvini, Crosetto, Musumeci: le toghe fanno l’elenco di proscrizione; ndr) in merito alla strumentalità politica dell’inchiesta hanno generato un clima nel quale si sono inseriti certi giornali con articoli offensivi per i colleghi e per la giurisdizione. La richiesta è firmata dai consiglieri progressisti di AreaDg e Unicost, più la Miele (Magistratura Democratica) e l’indipendente Roberto Fontana.

Libero, con altri, è accusato di aver criticato non i singoli provvedimenti ma le ragioni dell’inchiesta. In realtà non è così. Nessuno si è mai permesso di contestare ai pm il diritto di indagare, quello che abbiamo messo in dubbio è la necessità di arrestare Toti, che non scappa, non può reiterare il reato, non essendoci elezioni in vista e non avendo egli preso i provvedimenti per cui è accusato di essere stato corrotto, e non c’è pericolo che il governatore inquini le prove, visto che ha i telefoni intercettati, gli occhi dell’Italia addosso e i pm hanno avuto quattro anni di tempo per trovare tutto ciò che cercavano a suo carico. Abbiamo criticato la debolezza giuridica degli arresti ed è su di essa che si fonda il sospetto, peraltro non solo dei politici del centrodestra o dei giornalisti non imbeccati dai pm, che il fermo domiciliare abbia uno scopo politico. Il sospetto poi ha avuto una conferma nelle motivazioni con le quali il gip ha rifiutato la revoca degli arresti, dove la dottoressa ha scritto chiaramente che alla liberazione del governatore è di impedimento il fatto che egli non si sia dimesso e non intenda farlo. Ai signori togati del Csm, Libero ricorda che le dimissioni di un governatore eletto sono un gesto politico. Non spetta ai magistrati suggerirle, ancorché surrettiziamente; se lo fanno, si espongono a una critica politica, oltre a quelle tecniche.

 


Peraltro, indiscrezioni giornalistiche, non smentite dai pm, hanno riportato che la procura starebbe pensando, nel caso Toti si ostinasse a non dimettersi, di procedere contro di lui attraverso un giudizio immediato, come quello contro Alessandro Impagnatiello, reo confesso di aver ucciso la fidanzata incinta, tanto per intendersi. Di corsa a processo, dopo quattro anni di indagini estenuanti alla ricerca della pistola fumante che attualmente è ancora ad acqua e malgrado i giudici abbiano detto che gli arresti non possono essere revocati perché c’è ancora tanto materiale probatorio da raccogliere. Sarebbe una scelta singolare, finanche contraddittoria per chi non volesse leggere questa vicenda con lenti prevalentemente politiche più che giuridiche, anche perché il giudizio immediato di fatto condannerebbe il governatore ai domiciliari fino alla fine del primo grado. Non serve essere maliziosi per insinuare che la velina recapitata dai pm a mezzo stampa fidata, con tanto di invito a gettare la spugna per evitare guai peggiori, ha l’acre sapore dell’intimidazione.

Quanto alle allusioni dei magistrati sinistri del Csm, in base alle quali i giornali avrebbero insinuato il dubbio dell’intento politico nell’azione dei pubblici ministeri, Libero vuole rassicurare lettori e toghe. Abbiamo assunto una posizione garantista perché essa appartiene alla nostra cultura giornalistica e democratica e l’abbiamo sottolineata con veemenza e costanza perché il governatore ci pare vittima di un’ingiustizia e i suoi arresti ci sembrano un accanimento talmente macroscopici da indurci il sospetto che a processo non sia un amministratore pubblico ma un sistema politico. Non sono la premier e i ministri del suo governo ad averci imbeccato, ma le carte, i fatti e le spiegazioni pirotecniche del gip Paloa Faggioni, figlia di una ex consigliera comunale di Margherita e Pd. Alcuni quotidiani riportavano nei giorni scorsi che Ursula von der Leyen terrebbe nascosto nel cassetto un report sulla libertà di stampa a rischio in Italia per non urtare la sensibilità di Giorgia Meloni, dalla quale vorrebbe essere riconfermata presidente della Commissione Ue. Per quel che ne sappiamo, l’Italia è agli ultimi posti tra i Paesi civili nella classifica della libertà di stampa da molto tempo; non perché governa il centrodestra, ma in quanto i giornalisti sono intimiditi dalle querele, che spesso arrivano loro anche dai magistrati. Sono i casi in cui la sentenza di condanna è già scritta. Sono l’intimidazione e spesso la punizione sproporzionata quanto scontata a rendere i giornalisti poco liberi. Confidiamo nella parte non faziosa del Csm perché non dia sponda alle richieste dei democratici, come si ostinano a chiamarsi.

 

 

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