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Giovanni Toti accusa la sinistra: "Siete incapaci e mi odiate"

Pietro Senaldi
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«Con questa mozione di sfiducia, le opposizioni tentano una spallata politica che non solo non riuscirà, ma conferma tutta l’inadeguatezza delle sinistre a guidare la Regione Liguria». Questo è l’inizio del discorso di Giovanni Toti che il capogruppo della lista del presidente, Alessandro Bozzano, leggerà domani in consiglio regionale. È la risposta del governatore alla richiesta di dimissioni già presentatala settimana scorsa e slittata a martedì dopo che le opposizioni avevano lasciato l’aula perché la maggioranza aveva fissato la discussione alle 17, in coda alla giornata di lavori. Il presupposto è la totale rivendicazione della propria innocenza, accennata e non argomentata perché ritenuta scontata dal presidente.

 

 

 

Toti, agli arresti domiciliari da quasi quattro settimane, ha affidato la propria difesa, tutta politica, all’uomo che gli è più vicino in giunta, Giacomo Giampedrone, assessore alle Opere Pubbliche, Infrastrutture, Ambiente e Tutela del Territorio, che ha incontrato per quattro ore sabato scorso, autorizzato dalla Procura. È stata di fatto la prima mini-riunione di giunta a cui ha partecipato il governatore da che è agli arresti, perché l’incontro è stato molto operativo e sono state prese decisioni sotto le quali Giampedrone metterà la firma al posto di Toti, quando arriverà il via libera del ministro competente in materia, Gilberto Pichetto Frattin.

 

 

 

DITO PUNTATO

Il governatore punta l’indice su chi lo accusa, la sinistra, alla quale fornisce una lezione di stile che ha anche un vago sapore di minaccia: «Non imiterò l’opposizione parlando delle ombre lunghe che riguardano il Partito Democratico in Liguria», sibila la lettera. È un chiaro riferimento a quanto sta emergendo a margine delle inchieste su Toti, in particolare riguardo a Mauro Vianello, il referente del Pd nel porto ma non solo, secondo quanto emerge dalle carte il vero e unico corruttore di Paolo Emilio Signorini. È stato Vianello infatti, secondo l’accusa, a fare regali e favori all’ex presidente dell’Autorità Portuale, in cambio di un aumento delle tariffe per i servizi della sua società, la Santa Barbara, nei moli genovesi e a favorire, anche grazie alle sue leve nel Pd locale, il passaggio del suo sodale alla Iren, società di multi-utility, che gli ha prontamente girato una consulenza da 200mila euro. Come se non bastasse, stanno anche emergendo tentativi dei dem, sempre attraverso Signorini, di aggiudicarsi appalti con la società Autostrade nell’ambito della costruzione del tunnel subportuale. Il messaggio del governatore ai dem non lascia adito a grandi interpretazioni: voi mi volete cacciare facendo i puri ma siete in realtà i veri maneggioni, e se decido di scoperchiare il pentolone sarete quelli che si scotteranno maggiormente. E qui si profilano i contorni di un’altra accusa: quella di volerlo cacciare per gestire la cosa pubblica non nell’interesse dei liguri, come nella missiva Toti rivendica di aver sempre fatto, ma in quello esclusivo di quella che Pier Luigi Bersani chiama «la ditta». Infine c’è la condanna politica dei propri avversari, accusati di usare la leva processuale per batterlo essendo incapaci di costruire una proposta alternativa e dopo essere stati sconfitti da dieci anni. Ma soprattutto c’è la denuncia di una sinistra che mira a sopperire alle proprie incapacità «facendo fare ad altri» quello che non riesce a fare lei, ovverosia, «distruggere il modello Toti».

 

 

 

ORGOGLIO

C’è in questa frase tutto l’orgoglio dell’amministratore convinto di aver ben operato e il disprezzo verso chi usa la magistratura come un randello politico, per arrivare al governo pur senza voti. «Voi mi odiate perché con i miei cantieri sono il simbolo della vostra incapacità», scrive Toti, «rivendicando l’interesse pubblico in ogni mia scelta», dicendosi «certo che la maggioranza dei liguri comprendano e apprezzino il cammino fatto e i risultati raggiunti dal nostro governo» e ricordando di «essersi messo subito a disposizione dei magistrati per chiarire tutti i contorni della vicenda» che lo riguarda. In altre parole, il governatore rinfaccia alla sinistra che, quello che non può sopportare in lui, è di aver fatto funzionare la Liguria mentre chi vuole mandarlo a casa, quando aveva il timone in mano, non è mai riuscito a combinare nulla di buono Infine il presidente fa una chiamata alle armi alla propria maggioranza, chiamata domani a confermargli la fiducia malgrado sia agli arresti e non si sappia ancora per quanto sia destinato a rimanerci. «Ringrazio tutti i leader, locali e nazionali, che hanno espresso senza tentennamenti la propria posizione in mia difesa. Uno su tutti, Matteo Salvini: venendo a Genova la settimana scorsa a posare il primo cassone della diga foranea non solo si è preso un merito che gli spetta, ma ha rivendicato una storia che è di tutti noi».

 

I NUMERI

Numeri alla mano, domani non dovrebbero esserci problemi sulla fiducia. Su trenta consiglieri, la Lista Toti ne vanta otto (presidente compreso), ci sono leghisti e due a testa ne hanno Fratelli d’Italia e Forza Italia; in più ce ne sono due su tre di maggioranza nel Gruppo Misto. La matematica dice diciannove (18 considerata l’assenza del governatore) contro undici. Gli arresti hanno compattato una maggioranza che, prima, non era immune da fibrillazioni, innescate anche dalla centralità totale della figura del governatore. È vero che i vertici di Fratelli d’Italia sono rimasti più coperti sul governatore rispetto a leghisti e forzisti, ma a parte il fatto che il partito in Liguria non avrebbe i numeri per far cadere da solo la giunta, parrebbe improbabile che il centrodestra voglia complicarsi la vita facendo passare la mozione della sinistra proprio a quattro giorni dal voto per le Europee.

«Il presidente mi ha ripetuto come un mantra che la Liguria deve andare avanti e che le opere non si devono fermare» ha raccontato a Libero l’assessore Giampedrone, riferendo del suo incontro di sabato, «nel quale abbiamo preso anche decisioni pratiche, come quelle riguardanti lo scolmatore del Bisagno», il fiume che attraversa e spesso allaga Genova, alle cui piene la giunta Toti ha già posto una pezza ma che necessita di ulteriori opere per essere contenuto. «Giovanni non si dimetterà» confida l’amico e compagno di partito nonché di governo, almeno fino a che perdureranno gli arresti domiciliari. «Attende di tornare nel proprio ruolo per poi poter fare tutti i confronti del caso con la sua maggioranza e in essi stabilire il cammino da continuare insieme o decidere se è il caso di fare altre valutazioni».

Insomma, l’arresto non deve essere un’arma di ricatto: libertà in cambio di dimissioni. Non è così che si garantiscono i diritti degli indagati e neppure quelli di chi li ha eletti. Questa per il presidente è una questione di principio, giuridica e morale: qual è l’interesse della Liguria, vuole deciderlo da uomo libero, non con una pistola puntata alla testa.

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