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Ilaria Salis tutelata da Orban più di Toti nel Belpaese

Ilaria Salis

Pietro Senaldi
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C’eravamo quasi dopo mesi di bombardamento mediatico da parte della stampa progressista e degli esponenti politici della sinistra nostrana, l’Ungheria, quanto a diritti dei carcerati, fosse quasi come l’Unione Sovietica ai tempi di Giuseppe Stalin. Perfino peggio dell’Italia di oggi, che mette in prigione tre innocenti al giorno e, quando li libera, li risarcisce con tre spiccioli e una pacca sulla spalla. Valga per tutte la storia recente di Beniamino Zuncheddu, 33 anni in cella per un omicidio che non aveva commesso perché incastrato da un poliziotto delinquente, imprigionato poco più che ragazzo e liberato ormai vecchio, molto più di quanto non dica l’anagrafe. Il pastore sardo è stato indennizzato con 30mila euro, meno di mille per ogni anno passato in gabbia. Una gabbia di due metri, con il cesso non separato, senza acqua calda e con i materassi per terra per dormire.

Ilaria Salis portata in catene in tribunale, cosa che da noi non usa più da pochi decenni, ci aveva illuso però di essere migliori almeno degli ungheresi, tanto che i Verdi e Sinistra Italiana l’hanno candidata alle Europee, donna simbolo dei diritti umani violati dal Paese di Viktor Orbàn, nemico della civiltà in quanto amico di Giorgia Meloni. Ieri la Salis tuttavia ci ha fatto venire un dubbio: non è che i carcerati nella terra dei magiari hanno più diritti di quelli in Italia?

 

 

Premessa: non è argomento da legali ma da giornalisti. Ieri infatti tutti hanno potuto leggere l’intervista che la militante di estrema sinistra accusata di aver menato attivisti di estrema destra in un blitz squadrista con i suoi compagni di brigata, ha rilasciato a Repubblica. La signora descrive la propria esperienza come un inferno dantesco, al punto che, per trovare consolazione, si è letta la Divina Commedia, e ci sta, e il carcere, con le sue mura e le sbarre, come un pozzo. Si racconta come una martire dalla parte giusta della storia e, anche qui, trattasi di considerazioni politiche lecite, sebbene non siano una verità universale, benché vengano spacciate come tale.

Non è infatti il contenuto dell’intervista a farci sobbalzare, ma il fatto che essa sia stata rilasciata. Questo significa che l’Ungheria tutela i diritti di chi è agli arresti domiciliari più di quanto non faccia l’Italia, che pure dà a Budapest lezioni di diritto un giorno sì e l’altro pure. Basta pensare alla vicenda di Giovanni Toti, per rendersene conto. Il governatore della Liguria, a differenza della Salis, non è accusato di reati violenti ed è agli arresti domiciliari sulla base di presupposti traballanti e in forza di intercettazioni presumibilmente illegittime. Cionondimeno, è impossibilitato a parlare con i giornalisti; anzi, con chiunque a eccezione dei suoi legali e della moglie, che vive con lui.

Per far conoscere il proprio pensiero sull’inchiesta che lo sta travolgendo, è stato costretto a sottoporsi a un interrogatorio dei pubblici ministeri: 167 domande, tutte tese a incastrarlo.

 

 

Una mossa disperata, perché chiunque sa che agli indagati conviene tacere e che ogni colloquio con l’accusa presenta più trappole che opportunità di difesa Eppure, per far sentire la propria voce ai suoi cittadini ed elettori, per poter depositare una memoria che è un lascito politico, il presidente, a differenza della Salis, ha dovuto attraversare le forche caudine di un confronto con i pm, assumendosi grandi rischi e senza mai potersi permettere di dire quello che davvero pensa di chi lo accusa. Immaginiamo che il governatore ritenga che il suo sia un arresto politico, funzionale a farlo dimettere e far cadere la giunta di centrodestra e supponiamo che pensi di essere stato prima scelto come obiettivo e puntato dalla Procura, la quale solo dopo avrebbe cercato la via di come accusarlo; ma ovviamente non può permettersi, da indagato, di puntare l’indice.

La detenuta a Budapest invece può parlare liberamente, sostenere che il Paese che la giudicherà l’ha maltrattata e dire quali manifestazioni l’Ungheria dovrebbe tollerare e quali no. Tutto questo non è possibile a chi è agli arresti domiciliari in Italia. Davvero uno strano Paese il nostro, se visto da sinistra: essere accusati di reati violenti può diventare un’autostrada per sbarcare all’Europarlamento. Essere indagati per avere favorito decisioni che vanno nell’interesse del territorio che si amministra diventa invece una buona ragione perché gli avversari politici chiedano le tue dimissioni. E i magistrati, consapevoli che il protrarsi degli arresti domiciliari in attesa di giudizio rischia di ribaltare una decisione degli elettori senza che vi sia certezza di colpevolezza, non si pongono nessun problema.

Per la precisione: Repubblica scrive che la Salis è accusata di tre episodi di lesione. La Procura di Budapest la vede diversamente: l’accusa sarebbe tentato omicidio (da quelle parti si traduce lesioni personali con pericolo di vita) e associazione a delinquere: non è vero che in Italia, con queste incriminazioni, sarebbe a piede libero. 

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