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Giovanni Toti, ecco perché le intercettazioni sono illegittime

Pietro Senaldi
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A Genova c’è un procedimento per corruzione elettorale con aggravante mafiosa dove manca il mafioso. Neanche a farlo apposta, si tratta di uno dei tre filoni dell’indagine che ha portato il presidente della Liguria, Giovanni Toti, agli arresti domiciliari. Ieri i magistrati dell’accusa potrebbero aver fatto un secondo tragico autogol, a sole ventiquattr’ore di distanza dal disvelamento del bluff dei finanziamenti “leciti” dichiarati da Roberto Spinelli al governatore e diventati “illeciti” nella traduzione della Procura, per poi tornare “leciti”, come da deposizione effettiva e non intesa dai pm.

Il procuratore capo Nicola Piacente era a Roma, accompagnato dal pm Luca Monteverde e dall’aggiunto Vittorio Ranieri Miniati. Per una volta si trovava nelle vesti dell’interrogato, con la commissione parlamentare Antimafia a porgli le domande, e sembra di capire che non gli sia andata benissimo. La curiosità degli onorevoli era tutta concentrata su cosa c’entrasse mai la mafia con Toti. Pare che il magistrato abbia accampato una sorta di coinvolgimento indiretto, dovuto al fatto che il governatore era in rapporti incessanti con il suo ex capo di gabinetto, Matteo Cozzani, lui sì indagato per corruzione elettorale con aggravante mafiosa. Già, ma perché Cozzani è indagato? In un bar avrebbe ricevuto un curriculum dal sindacalista della Cgil Venanzio Maurici, che chiedeva un posto di lavoro per il convivente della figlia.

La mafia c’entrerebbe perché l’uomo è cognato del boss Cammarata, che sta in Sicilia, è in carcere, e non vede da quindici anni. La tesi accusatoria è che l’interessamento, risoltosi in nulla, fosse il prezzo di 380 voti dei riesini a favore della lista del governatore, nelle Regionali del 2020. «Vicenda surreale» ha dichiarato Maurici, «smentisco di aver aiutato Toti, cosa che per me è infamante»; e forse questa è la sola questione d’onore della vicenda.

 

LE CENE

Siccome tutto fa brodo, a Cozzani viene anche imputato di aver organizzato due cene elettorali per Toti con la comunità dei riesini, qualche centinaio di genovesi residenti da decenni in città ma originari di Riesi, provincia di Caltanissetta, regno dei Cammarata. Tanto basta secondo i giudici, anche perché in una delle intercettazioni che ha dovuto subire per tre anni, l’ex capo di gabinetto, riferito ai riesini, ha detto al presidente ligure di «starci lontano, ché quelli ci mettono in galera», specificando che «se mi beccano, mi squartano», visto che dopo il voto si era reso non più rintracciabile. «I riesini? Come la mortadella, poca spesa, tanta resa», aveva del resto chiosato Cozzani alla parlamentare Ilaria Cavo, nel tentativo, fallito, di convincerla a partecipare a un evento elettorale, cosa da lei rifiutata nettamente, anticipandole la sua strategia.

Secondo i pm dunque, questi riesini sarebbero un genere di mafiosi che si possono prendere in giro tranquillamente, dicendo una cosa e facendo l’opposto, senza pagar dazio. Ed è questa la seconda curva dove la trimurti della Procura genovese avrebbe derapato sui cordoli davanti ai parlamentari, sempre più perplessi sull’esistenza di una qualsiasi ombra di mafia. Un curriculum, due cene elettorali, tre frasi colloquiali di quelle che tra gente che lavora da anni in confidenza si dicono spesso, un cognato che vive a 1200 chilometri da un boss in carcere che non vede da lustri e la dichiarazione di Toti, creduto dai pm, «di non aver mai promesso lavoro in cambio di voti e di non aver mai neppure pensato che qualcuno lo abbia fatto al mio posto», pur riconoscendo che «è naturale che chi ti vota si aspetta attenzione». La mafia nelle carte è tutta qui.

 

PASSE-PARTOUT

Parrebbe, a essere maliziosi, o semplicemente a voler prendere le parti degli indagati, che la mafia nell’inchiesta ci sia dovuta entrare a forza e per forza. In effetti, quel 416 bis, l’aggravante mafiosa, è stata per i pm un passe-partuot imprescindibile, quasi il fondamento dell’impianto accusatorio, che altrimenti neppure si sarebbe potuto comporre. Di più; secondo i legali senza quella paroletta, “mafia”, neppure sarebbero potute iniziare le intercettazioni di Toti sulla proroga della concessione del Terminal Rinfuse ad Aldo Spinelli e sul suo interessamento per il cambio di destinazione (mai avvenuto; ndr) di parte della spiaggia pubblica di Celle Ligure.

La mafia ci doveva entrare per forza, perché il reato di corruzione elettorale, all’articolo 86 del decreto 570 del 1960, prevede che il reato si estingua entro tre anni, quindi nel caso di specie nel 2023. Solo grazie al 416 bis la prescrizione interviene cinque anni dopo, cioè nel 2025, e quindi, senza quell’articoletto che tira in ballo la criminalità organizzata, l’indagine non sarebbe nemmeno mai nata.

 

PRETESTO

Non solo, l’aggravante mafiosa ha consentito di intercettare Toti per ben tre anni, mentre altrimenti avrebbe potuto essere ascoltato solo per quindici giorni, rinnovabili di volta in volta su autorizzazione del giudice (articolo 267 comma 3 del codice di procedura penale), che difficilmente l’avrebbe concessa per 40 volte consecutive. Non basta, sempre grazie al pretesto della mafia, che pare non esserci ma doveva entrarci per forza, è stato possibile travasare le intercettazioni da un’indagine all’altra (articolo 270 codice di procedura penale, che prevede questa possibilità solo per reati gravissimi o colti in flagranza).

È questa la chiave di volta dell’inchiesta, perché l’attacco a Toti in realtà parte da un procedimento aperto a carico di Cozzani in quel di La Spezia, in merito a un via libera alla costruzione di impianti a servizio di insediamenti turistici nell’isola della Palmaria. Un’offensiva che la Procura del Levante aveva già tentato più volte, venendo respinta sia dal Tribunale del Riesame sia dalla Corte di Cassazione, ma che era stata ripresentata. Questo procedimento, che ha messo sotto intercettazione Cozzani, è gemmato, attraverso vari passaggi, fino a Genova e al caso dei riesini. C’è però ancora un aspetto, il più inquietante dell’inchiesta. Le intercettazioni a Toti iniziano il primo settembre del 2021, casualmente il primo giorno in cui entra in vigore la legge che consente la transumanza delle intercettazioni da un’inchiesta all’altra, solo in presenza dell’aggravante mafiosa.

La vicenda è complessa e per legulei, ma quello che a pelle appare evidente è che, se qualcuno non avesse escogitato l’escamotage dell’aggravante mafiosa, il presidente della Liguria non avrebbe potuto essere intercettato per tre anni e mezzo, non avrebbe potuto esserlo con misure eccezionali e l’inchiesta non sarebbe neppure partita perché prescritta. Quello che potrebbe essere accaduto ieri è che gli accusatori del sistema Liguria, dando ai parlamentari spiegazioni molto poco argomentate sulla sussistenza dell’elemento mafioso nella loro inchiesta, descritto più come un’attività di faccendieri che come il racket tipico di Cosa Nostra, avrebbero fornito un assist meraviglioso agli avvocati.

Certo, sarebbe bello sapere cosa c’è scritto nel verbale dell’Antimafia; peccato che sia secretato, differentemente dalle intercettazioni (illegali secondo la legge Orlando del 2017) che su tutti i media italiani hanno sputtano Toti, Cozzani, Spinelli, Signorini e tutti coloro che forse un giorno punteranno l’indice accusatorio, anziché annaspare dai banchi della difesa.

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