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Giovanni Toti tenuto agli arresti per non farlo governare: in ballo 12 miliardi

Pietro Senaldi
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Alla luce della deposizione resa giovedì scorso da Giovanni Toti davanti ai magistrati che lo accusano di corruzione, e con sotto gli occhi le risposte date dall’indagato alle 167 domande che i pubblici ministeri gli hanno fatto per oltre otto ore, ha ancora senso tenere il presidente della Liguria agli arresti domiciliari?

L’istanza di revoca delle misure di interdizione che l’avvocato Stefano Savi presumibilmente depositerà tra un paio di settimane si occuperà di dimostrare che le esigenze cautelari, se mai ci sono state, sono venute meno. La difesa ha deciso di posticipare la richiesta a quando le acque si saranno calmate e sarà passato l’appuntamento delle elezioni Europee, che nulla c’entra con la vicenda processuale ma la ingarbuglia dal punto di vista politico, essendo Toti leader di un partito del centrodestra. Occorre tempo perché gli inquirenti sedimentino le risposte dell’indagato e le valutino anche dall’angolo prospettico della difesa, quindi in maniera imparziale. Occorre anche che finisca l’attività di indagine, che ancora dura, visto che domani sarà interrogato Paolo Emilio Signorini, ex presidente dell’Autorità Portuale, l’unico indagato in cella e sarà riascoltata la deposizione di Roberto Spinelli, per capire se ha parlato di finanziamenti illeciti, come ha inteso la Procura o leciti, come si è affrettato a precisare l’interessato appena è stato informato di quello che ritiene essere stato un malinteso.

Prima della fine dell’attività inquirente, della scadenza elettorale e del tempo necessario all’accusa per ragionare sugli argomenti della difesa, che giovedì ha parlato per la prima volta, è inutile chiedere la revoca degli arresti, perché la domanda sarebbe respinta e non potrebbe essere ripresentata a breve. Questo però non impedisce di ragionarci sopra.

 

LA QUESTIONE POLITICA 
La premessa di ogni valutazione passa attraverso il fattore politica. Gli arresti di Toti rendono complicato il governo della Regione in un momento in cui su di essa convergono investimenti in infrastrutture per 12 miliardi di euro. Le dimissioni del presidente, che tutti invocano in quanto impossibilitato ad agire, determinerebbero il voto anticipato e un probabile più che possibile passaggio del governo regionale dal centrodestra al centrosinistra. C’è chi sostiene che sia questa la ragione principale dell’arresto, visto che un semplice avviso di garanzia avrebbe consentito a Toti di restare dov’era e avrebbe grandemente ridimensionato l’impatto mediatico della vicenda. Del resto, il maggior ostacolo al ritorno in libertà dell’indagato è proprio il fatto che, essendo il governatore una carica elettiva, egli recupererebbe piena agibilità politica e tornerebbe ad avere tutti i suoi poteri, così come i tanti presidenti di Regione, dall’emiliano-romangolo Stefano Bonaccini (Pd), al leghista Attilio Fontana (Lega), al laziale Nicola Zingaretti (Pd) che sono stati indagati a piede libero e hanno continuato a lavorare indisturbati. La revoca degli arresti, dati i tempi della giustizia nostrana, coinciderebbe quindi con la possibilità di Toti di portare a termine il proprio mandato e restare in sella almeno fino all’autunno del 2025, con tanti saluti al tentativo di blitz sulla Regione che la sinistra sta operando da che è scoppiato il bubbone.

MANCANO I PRESUPPOSTI
Ma vediamo se, dopo l’interrogatorio, sussistono ragioni extra politiche, e quindi giuridiche, per mantenere il fermo, dando per scontato che mancano sia il presupposto del tentativo di fuga, che neppure i magistrati considerano, sia quello della continuazione del reato, visto che i fatti contestati risalgono a tre anni fa e non sono stati ripetuti. Resta da considerare la possibilità di inquinamento delle prove, che può ancora reggere fintanto che i magistrati non finiranno di interrogare tutti i testimoni; anche se in realtà regge solo in via teorica, perché nei fatti è impensabile che Toti, con gli occhi dell’Italia intera addosso, possa muoversi per condizionare l’inchiesta.

Per di più, poiché nell’interrogatorio di giovedì l’indagato non ha contestato i fatti, ovverosia le intercettazioni prodotte dai magistrati e i versamenti erogati da Aldo Spinelli alla sua lista elettorale, che sono i soli indizi su cui si basa l’accusa, non c’è nessuna possibilità di inquinamento delle prove. Toti infatti non nega le telefonate né i bonifici, solo ne fornisce un’interpretazione opposta a quella che danno i pm: non corruzione, ossia denaro in cambio di favori, ma da parte sua doverosa attività per sbloccare pratiche ritenute utili per la Liguria e da parte di Spinelli finanziamenti registrati in occasione delle campagne elettorali. «Lo chiamavo per sollecitare il suo sostegno economico» dichiara candidamente il governatore più volte nel corso dell’interrogatorio e «non ho mai avuto la sensazione che i finanziamenti fossero correlati alle richieste di sveltire l’approvazione della concessione della proroga del terminal, perché Spinelli mi sosteneva economicamente dal 2015», aggiunge. Sono frasi che il governatore non può rimangiarsi una volta liberato. Stabilire se c’è corruzione spetta al giudice, ma gli elementi sono già tutti sul piatto; non serve per formarsi un’opinione che Toti resti in cella.

 

LA VICENDA DEI RIESINI
Il primo capitolo che i magistrati affrontano nell’interrogatorio è quello della corruzione elettorale: l’accusa è di aver promesso alla comunità dei riesini, dei siciliani trapiantati a Genova, lavoro in cambio di voti.

Toti ammette di aver chiesto voti ai fratelli Testa, i rappresentanti della collettività, per una sua candidata (non indagata) e che «ovviamente questi avessero chiesto attenzione» al suo capo di gabinetto, Matteo Cozzani, al quale il governatore aveva delegato il mantenimento dei rapporti con i riesini ma precisa che quest’ultimo «non mi ha mai parlato di richieste di posti di lavoro né io ho mai immaginato un collegamento tra voti e occupazione», che infatti non risulta dalle intercettazioni e non si è mai tradotto nella realtà.

Quanto al pagamento delle cene elettorali presso la comunità e alla frase di Toti rivolta a Cozzani «perché dici che ti vogliono squartare, non gli abbiamo dato dei soldi?», il governatore ha riferito di non ricordarsi chi ha provveduto al conto, «ma sicuramente non sono stati i Testa» e di aver pronunciato la frase equivoca sul denaro «in tono ironico». La prima circostanza è verificabile con i tracciati bancari; quanto alla battuta infelice, molto credibile nel contesto, specie in mancanza di prove di dazioni economiche, ci si può credere o no, ma non è che tenere il governatore agli arresti cambi qualcosa.

LA SPIAGGIA CONTESTATA
Sul suo interessamento al cambio di destinazione di parte della spiaggia pubblica di Celle Ligure per fare un bagno destinato ai proprietari di un residence costruito dagli Spinelli, Toti ha dichiarato che «la mia posizione era che, se la pretesa era conforme alla legge, poteva essere sostenuta». Ha ammesso di «avere aperto un tavolo con dei tecnici» per verificare la fattibilità della cosa e, in un secondo momento, di avere detto a Spinelli che insisteva, che «si sarebbe informato» su come era andata.

«Bisogna trovare una soluzione», «mettiamo un piede dentro la cosa», «razionalizziamo le spiagge libere, accorpiamo», «diventerà tutto una concessione» insiste Toti intercettato con l’ex sindaco di Varazze, esperto della materia. «Erano auspici, frasi assertive ma di indirizzo politico, per far capire che la cosa meritava attenzione» spiega il governatore ai pm, aggiungendo di aver saputo dai giornali, dopo il suo arresto, che la pratica «non era andata a buon fine», ma in realtà neppure era stata aperta. Anche in questo caso, Toti non nega nulla; prova a spiegare, contestualizza. Ci si può credere o no, ma certo non c’è pericolo di inquinamento delle prove, essendosi l’interesse del governatore limitato a qualche telefonata e avendo poi egli da anni rinunciato ad accontentare Spinelli perché la legge non lo consentiva.

LA CONCESSIONE RINFUSE
Sulla supposta corruzione di Spinelli verso Toti per ottenere la proroga della concessione del terminal si sa ormai tutto. La pratica era impostata ma dormiva e il governatore si è interessato più volte per sbloccarla positivamente, telefonando alla presidenza dell’Autorità Portuale e facendo pressioni sui membri del Comitato che dovevano dare il via libera. È tutto ammesso: «Non ho mai promesso a nessuno che ci sarebbe stata la proroga trentennale, ma mi sono attivato perché era una pratica importante per il porto e pertanto da definire subito e perché è doveroso per la Pubblica Amministrazione evadere le richieste velocemente, anche perché lasciare la questione aperta avrebbe provocato tensione tra gli operatori del porto».

«La cosa va il 29... ricordati che sto aspettando una mano» dice il governatore a Spinelli, annunciandogli che la pratica è ormai avviata e ricordandogli le scadenze elettorali. Anche qui, nulla che possa essere modificato, nessuna prova inquinabile; solo la differente interpretazione: per i pm è corruzione, per l’indagato non lo è, perché le sue richieste di finanziamento sono abituali e slegate dalla sua attività per far funzionare al meglio il porto.

E’ su questo punto che si giocherà il processo, ma siccome per legge tutti sono innocenti fino al terzo grado di giudizio e nessuno può cambiare i fatti o le conversazioni intercettate, non si vede perché Toti debba aspettare il processo agli arresti domiciliari o libero ma da dimissionario. In entrambi i casi, sarebbe una violazione dei diritti dell’imputato; anzi, del non imputato, visto che il governatore non è ancora rinviato a giudizio.

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