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Toti, il precedente del presidente del porto: arrestato e assolto dopo anni di gogna

Pietro Senaldi
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C’è un precedente inquietante per l’inchiesta che sta travolgendo il porto di Genova, mette a rischio i 12 miliardi di investimenti in infrastrutture già stanziati sulla Liguria e ha decapitato i vertici della Regione, mandando agli arresti domiciliari il governatore Giovanni Toti, accusato di corruzione.

L’ex pupillo di Silvio Berlusconi non è infatti il primo politico di centrodestra a venire eletto presidente in riva al Ligure. Nel 2000 era toccato a Sandro Biasotti, un altro forzista di area moderata. Costui nel 2004 favorì la nomina di Giovanni Novi a presidente dell’Autorità Portuale di Genova, l’incarico per il quale Paolo Russo Signorini si è messo nei guai ed è ora in cella con tutta Italia che parla dei suoi lussuosi fine settimana a Montecarlo pagati da Aldo Spinelli, dei suoi costosi massaggi e delle sue puntate al casinò coperte dall’imprenditore.

Novi ha un profilo diverso. Padre di quattro figli, senza vizi, è arrivato a quell’incarico dopo una vita di lavoro e successi, che lo ha visto prima broker a Londra, poi armatore, Cavaliere del Lavoro, presidente dell’Aeroporto di Genova, imprenditore edile, membro del consiglio d’amministrazione della Banca Passadore, fondatore dell’associazione di Sail Training e pure presidente dello Yacht Club.

 

 

 

Un uomo che non aveva bisogno di farsi corrompere né di farsi sovvenzionare le vacanze, tanto per intendersi; ma con un difetto insanabile: essere competente e, soprattutto un tecnico avulso dalla politica, con l’aggravante di essere stato nominato quando in Regione regnava una giunta di centrodestra, la prima, un affronto da queste parti.

 

 

 

IL BLITZ

Ebbene nel 2008, dopo cinquant’anni di lavoro, Novi venne costretto a dimettersi dall’Autorità portuale sotto il peso di un’inchiesta confezionata all’uopo dall’ineffabile procura di Genova. Anche in questo caso, migliaia di pagine di intercettazioni messe insieme in un lavoro di anni. Fu accusato di turbativa d’asta e concussione perché ritenuto colpevole di aver spartito in maniera illegale le concessioni del porto. Con lui vennero imputati altri nomi eccellenti, dall’ex presidente di Finmeccanica Sergio Carbone, docente di Diritto della Navigazione, all’immancabile Aldo Spinelli, fino all’armatore Aldo Grimaldi, all’avvocato dello Stato Emilio Novaresi e ad altri importanti dirigenti del porto.

La città rimase scossa dall’inchiesta. L’arresto di Novi fu spettacolare, all’ora di pranzo, mentre riceveva ospiti nella sua casa. La moglie, già malata, ebbe un crollo e morì la settimana dopo. Novi poté salutarla solo poche ore prima del decesso, per graziosa concessione della magistratura, inchiodata alle sue responsabilità da una lettera appello dei figli dell’imprenditore. «Mi hanno trattato peggio di Totò Riina, ho dovuto vendere un appartamento e una parte cospicua del mio patrimonio mobiliare per difendermi e quando mi liberarono nessuno dei miei collaboratori voleva parlarmi per timore di essere intercettato» racconterà poi di sé il grande perseguitato.

 

 

 

TEMPI LUNGHISSIMI

Già, perché questo è il cuore della vicenda: sei anni e mezzo di processo hanno portato all’assoluzione di tutti, malgrado l’accusa abbia fatto ricorso sempre, fino in Cassazione. Le colpe? Novi, dall’alto della sua ultraquarantennale esperienza, aveva trovato una via per assegnare i preziosi moli del porto che aveva messo d’accordo tutti. Aveva composto un mosaico complicatissimo, ma in questo capolavoro di mestiere e diplomazia la Procura aveva ravvisato gli estremi di una spartizione proibita, fatta dall’imputato al solo scopo di perseguire i propri interessi. Nel gioco c’erano tutti i signori del porto; non solo Spinelli, anche Messina, Grimaldi, la Tirrenia, le Grandi Navi Veloci, la flotta di Stato e, sullo sfondo, anche Aponte, patron di Msc nonché uno dei più importanti armatori al mondo. Per i magistrati sarebbero stati tutti concussi da Novi...

Inevitabile che l’inchiesta abbia paralizzato la città. Il mondo rallentava sotto il peso della crisi economica globale e il porto restava ostaggio della Procura. Se ne avvantaggiò solo il Pd, che piazzò all’Autorità Portuale, per ben due mandati, il dinosauro di fiducia Luigi Merlo, ex assessore regionale. L’effetto fu, tra gli altri, che il Comune perse sette milioni di euro di fitti dalle concessioni. Ma i danni in realtà furono molto più ingenti di quei sette milioni. Basti pensare che, con i suoi oltre cinque miliardi l’anno di Iva e tariffe pagate allo Stato, il Porto di Genova è il principale contribuente italiano. Questo a significare che fermarlo non è tanto un problema per Toti o per i liguri, ma per tutti gli italiani.
 

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