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Giovanni Toti, il grande trappolone dell'inchiesta di Genova

Pietro Senaldi
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Il vicepremier nonché ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, dice di «augurarsi che le inchieste della Procura di Genova non blocchino i cantieri». Il sindaco del capoluogo ligure, Marco Bucci, parla di «gioco al massacro al quale non ci sto» e chiede alla magistratura «chiarezza sulla mia posizione», manifestando una certa fretta di poter parlare con i magistrati. Il governatore della Regione, Giovanni Toti, non può parlare perché è agli arresti domiciliari e sembra ogni giorno più chiaro che le toghe siano orientate a lasciarcelo finché non si dimetterà; a quel punto, sarà stato centrato un primo obiettivo, fuori uno, a prescindere da come continuerà il processo.

Non serve un indovino però per immaginare che il presidente si senta vittima di un’inchiesta politica, che attraverso un lavorio di tre anni, punta a eliminarlo dalla scena. E se non bastano gli arresti, e se non bastano le accuse di corruzione, ecco lo stillicidio di una nuova frecciata al giorno: prima il falso in atto pubblico, per aver gonfiato il numero degli anziani e ottenere più vaccini anti-Covid, poi le mascherine, introvabili in pandemia, una frode ipotizzata da un milione e 200mila euro, come se Toti avesse speculato sulle forniture. Accusa capitata ad altri prima di lui, per esempio l’ex presidente del Lazio, Nicola Zingaretti, e sempre finita in nulla.

Tutto fa brodo, perché quel che conta è non mollare la preda, alzare il pressing mediatico. Ieri i giornali più avversi al centrodestra paventavano uno scandalo sanitario, come se l’ipotesi di corruzione si estendesse dal porto alle cliniche private della riviera, ma non c’è traccia di nulla di tutto questo nelle seicento pagine dell’ordinanza cautelare della settimana scorsa ai danni del governatore e, a quanto è dato sapere, neppure nelle novemila pagine di intercettazioni ancora non rese pubbliche e ora al vaglio dei legali degli imputati. Il presidente è colpito duramente e gli avvoltoi si alzano in volo, aspettando nuove prede.

 

 

È il grande trappolone di Genova.

«Dove manca il consenso, subentri la forza». La massima è di Benito Mussolini ma si attaglia benissimo alla situazione ligure, dove questa inchiesta sta rianimando il Pd, che fino alla settimana scorsa a Genova sembrava un incubo lontano e ora si staglia all’orizzonte di eventuali elezioni anticipate, per garantire il ritorno a un tramonto cupo; quello in cui annaspavano città e Regione prima che Bucci e Toti iniziassero a prendersene cura.

Il sospetto è che le manette al presidente siano scattate non perché, come scritto nell’ordinanza, si temeva che Toti perpetuasse il reato di corruzione elettorale del quale è sospettato, giacché il suo partito neppure si presenta alle prossime Europee e la scadenza di legislatura è lontana; peraltro per il governatore sarebbe (stato) il terzo mandato, sul quale la politica romana non ha ancora dato il via libera. Serviva un gesto eclatante per attirare l’attenzione, montare lo scandalo e preparare il cambio al potere.

Ma se questo è il filo del ragionamento, se il fine giustifica i mezzi, allora non si sa fin dove si può arrivare.

 

 

Il sindaco Bucci chiede chiarezza. Dovrà aspettare almeno l’interrogatorio di Toti, forse alla fine di questa settimana, per averla. Se la magistratura si riterrà soddisfatta, tutto filerà liscio. Altrimenti ogni cantiere può nascondere un’insidia. Certo, Bucci non è tipo da corruzione elettorale, non è un politico, non ha ambizioni politiche e non ha un partito. Ma le decisioni sul porto spettano al Comune e non alla Regione.

In porto il progetto più importante riguarda la Diga Foranea, un affare da un miliardo e trecento milioni, settecento dei quali finanziati dal Pnrr. È un’opera monumentale, che ha la funzione di creare una nuova configurazione degli accessi portuali in grado di garantire i transiti a le manovre in totale sicurezza alle navi di ultima generazione, le più grandi. Raddoppierebbe i volumi del Porto e l’introito per lo Stato, portandolo da cinque a dieci miliardi l’anno. Ma il gioco mediatico oggi è farlo sembrare un favore all’imprenditore Aldo Spinelli, perché si è battuto per averla.

La sinistra in città ha preso a chiamarla la Diga Spinelli, come se i governi di Conte e di Draghi avessero operato per fare un favore al discusso imprenditore e a Toti, o perfino a Bucci, che con lui mantenevano ordinari rapporti di lavoro. Non a caso il nome di Draghi figura nelle intercettazioni. Spinelli si congratula con Toti «per aver portato il premier a Genova» e gli chiede di farlo Cavaliere del Lavoro. Il governatore dice che non può farlo, ma intanto sono schizzi che girano nel ventilatore. Chissà i prossimi chi colpiranno. 

Il 24 maggio è prevista la cerimonia della posa del primo cassone della Diga. È previsto l’arrivo di mezzo governo, premier incluso. Conviene incrociare le dita...
 

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