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Giovanni Toti, il suo peccato? Fare il bullo al telefono

Pietro Senaldi
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Giovanni Toti si sente come un leone in gabbia. Oggi alle 14 ha avuto un faccia a faccia con il giudice per le indagini preliminari che ha firmato i suoi arresti domiciliari, ma non ha ruggito. Il governatore della Liguria è convinto che la sua voce sia la migliore arma di difesa a sua disposizione, anche se è proprio alle sue parole che i pm si sono attaccati per costruire l’impianto accusatorio ai suoi danni.

Tuttavia forse non è arrivato ancora il momento opportuno per farla sentire. Oltre alle seicento pagine di ordinanza di custodia cautelare, ci sono novemila pagine di inchiesta che gli avvocati devono ancora spulciare e in ogni riga può nascondersi un tranello. Sarebbe imprudente esporre la propria linea difensiva prima di conoscerne a menadito il contenuto. Per questo il governatore si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il leone in gabbia è ferito ma lucido e determinato, quindi ha la forza della pazienza. Mentre tutti intorno lo giudicano finito politicamente, lui è convinto di potersela giocare ancora a 360 gradi. Difficilmente il giudice lo libererà dopo l’interrogatorio di oggi.

Plausibilmente nei prossimi giorni il presidente depositerà un’istanza di scarcerazione e, se questa dovesse essere respinta, potrebbe fare ricorso al Tribunale del Riesame per ottenere la cessazione degli arresti domiciliari. Farlo prima del rifiuto dell’istanza non sarebbe opportuno, perché la sua situazione non verrebbe valutata singolarmente ma come parte del complesso dell’inchiesta, che nel suo insieme è alquanto articolata e quindi sfavorevole a un provvedimento di liberazione.

 

 

 

SOLO IPOTESI

Tutto diverso se si esamina la sola situazione del governatore. Nel filone del traffico di voti, i pm hanno escluso per lui l’aggravante mafiosa. Per quanto riguarda le pubblicità elettorali inserite nella campagna di Esselunga, il reato è più ipotizzato che provato, e peraltro l’accusa lo sfiora appena. Il cambio di destinazione della spiaggia delle Colonie Bergamasche, da pubblico a privato, in realtà non è mai stato fatto, contrariamente a quello che sembrerebbe dalle intercettazioni. Quanto alla concessione di un terminal del porto all’imprenditore Aldo Spinelli, è un atto dell’autorità portuale e non della Regione.

Non porta la firma Toti ma quella di Paolo Emilio Signorini, ex presidente del porto, l’uomo al quale Spinelli pagandogli i soggiorni a Montecarlo e i regali alle amiche, accedeva senza alcun bisogno di intermediazione da parte del governatore. I 74mila euro di sostegno alla fondazione di “Cambiamo” da parte dell’imprenditore sono regolarmente dichiarati. Il solo peccato ascrivibile al presidente ligure al momento è aver fatto il bullo al telefono; o lo splendido, a seconda dei punti di vista, intestandosi azioni che non aveva il potere di fare e chiedendo un po’ sfacciatamente contributi elettorali legittimi e registrati.

 

 

 

Per poter dire tutte queste cose con la sua voce, Toti ha bisogno di essere libero, ma tanta sabbia deve scorrere ancora nella clessidra. Tra istanza e ricorso del riesame, passerà almeno un mese; giusto il tempo perché si siano già tenute le elezioni europee di giugno. D’altronde, poiché il gip ha scritto nella motivazione dell’arresto che lo scopo della misura cautelare era impedire che il governatore reiterasse comportamenti ritenuti dalla procura illegali durante la campagna elettorale, se il magistrato lo liberasse prima del voto si contraddirebbe da solo; un autogol che la dottoressa Paola Faggioni difficilmente farà, soprattutto dopo aver messo la faccia su un provvedimento restrittivo così fragile e contestabile.

 

MAGGIORANZA

Ma che ne sarà della maggioranza regionale e della giunta, fino a quel momento? Come detto, Toti confida di tornare in campo da protagonista e concludere la legislatura. Al momento lo sostituisce il vicepresidente, il leghista Alessandro Piana, con pieni poteri. Se però l’arresto del governatore dovesse protrarsi nei mesi, difficilmente la situazione potrebbe restare cristallizzata. I maligni sospettano che la magistratura non lo libererà finché Toti non si dimetterà, aprendo la strada a elezioni regionali anticipate.

Il suo partito, “Cambiamo”, è decapitato; la maggioranza che lo sostiene al momento tiene. Tutti i partiti sono persuasi che il governatore deve resistere fino a che non saranno chiari i contorni dell’inchiesta, visto che la loro indeterminatezza impedisce lo studio di strategie per il futuro. A quel punto, se libero, potrebbe provare a continuare, come lui vorrebbe, ma bisogna vedere cosa altro sarà emerso dalle carte. Quel che è certo è che, fino alle Europee, il centrodestra non studierà un piano B e non cercherà nomi alternativi. Il viceministro ai Trasporti, il leghista Edoardo Rixi, sarebbe il candidato più autorevole, e la coalizione lo sosterrebbe unita, ma lui non pare interessato, anche perché sarebbe curioso che chi gestisce a Roma i dossier caldi delle infrastrutture si sposti poi a Genova per realizzarli. La patata bollente finirà nelle mani di Fratelli d’Italia, il partito più grande. Onori e oneri...

Ma attenzione, Claudio Scajola, ex ministro azzurro e antica autorità del centrodestra in Regione, con un nipote in giunta vicino al governatore in momentanea disgrazia, avverte che la maggioranza non è sufficientemente forte per vincere in Regione. Bisogna allargare la coalizione alle liste civiche, proprio come fece Toti nel 2020, quando si organizzò per un pieno di voti, che ottenne, che gli consentisse di contare di più a Roma, suo obiettivo non nascosto. Un’operazione che però era mezzo naufragata già prima dell’inchiesta.

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