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Ilda Boccassini indagata, il retroscena: quel gioco sporco su Berlusconi e le cosche

Claudia Osmetti
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Un’indagine parallela, di quelle che non t’aspetti, di quelle che coinvolgono chi, per anni, è stata dall’altra parte dell’aula, sulla seggiola del pubblico ministero, nei ranghi dell’accusa. Ilda Bocassini, llda-la-rossa, Ilda la pm del processo Ruby (ma non solo) nei primi Duemila contro Silvio Berlusconi, è indagata, per «false informazione ai pm», a Firenze, in quella che se fossimo nella puntata di un poliziesco sarebbe uno spin-off, cioè una serie che nasce da un’altra, e invece siamo nella realtà dei tribunali e dei magistrati e degli avvocati e, quindi, è un’inchiesta a latere di quella sui “mandanti occulti” delle stragi mafiose del 1993.

Trent’anni fa. Quel 1994 che ha cambiato la storia d’Italia, il secolo scorso. Febbraio. Bocassini è una giovane pm che lavora a Caltanissetta. Il fascicolo che, coi colleghi, ha per le mani è uno di quelli importanti, riguarda le bombe di Capaci e di via D’Amelio dell’anno precedente, quelle che hanno ucciso (dilaniandoli) i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Mezza Italia è ancora sotto choc. Bocassini sta interrogando il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi che parla di flussi di soldi. Soldi che, dice lui, arriverebbero dal nord, dal gruppo che fa capo proprio a Berlusconi.

IL LIBRO
Salto temporale: il 2021. Cambia il secolo (è quello attuale), cambia l’era (è completamente diversa). Bocassini è già in pensione, non mette piede nel suo ufficio al Palazzo di giustizia di Milano dal 2019. Però è appena uscito nelle librerie un suo libro autobiografico, si chiama La stanza numero 30, è edito Feltrinelli, e lì, tra le pagine che raccontano di una vita e anche di una fetta recente del nostro Paese, l’ex pm milanese scrive che il giornalista Giuseppe D’Avanzo, pochi giorni prima di morire, le ha rilevato la fonte delle notizie che ha pubblicato, molti anni prima, in quel fatidico 1994, sul quotidiano La Repubblica, assieme ad Attilio Bolzoni, incentrate sulle dichiarazioni di Cangemi e circa un rapporto che, sostiene quello che è uno scoop a tutti gli effetti, ci sia tra il fondatore di Forza Italia e la criminalità organizzata.

Ma sempre nel 2021 due procuratori aggiunti di Firenze, Luca Turco e Luca Tescaroli, stanno indagando (ancora) su Silvio Berlusconi, sull’ipotesi che possa essere stato lui, il Cavaliere, il “mandante esterno” delle stragi della mafia non in Sicilia ma sul continente, non del 1992 bensì del 1993. Una indagine che è a tutt’oggi aperta, non a carico dell’ex premier Silvio Berlusconi, morto lo scorso giugno, ma stavolta a carico di Marcello Dell’Utri.

 

LA CONVOCAZIONE
Turco e Tescaroli convocano in procura (tra gli altri perché chiamano anche chi era a Caltanissetta negli anni Novanta) Boccassini. Le chiedono, senza mezzi termini, di rivelare loro quella fonte a cui accenna nel libro ma che non compare mai per nome e nemmeno per cognome. Glielo domandano, direttamente. E lei, ciuffo ribelle, grande conoscenza delle procedure, un monte di anni d’esperienza alle spalle, fine conoscitrice della legge e di ogni sua sfaccettatura, non apre bocca. Non risponde. Non ha intenzione e non vuole farlo.

È così che scatta, adesso, l’accusa per violazione dell’articolo 371 bis del Codice penale. «Chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pm di fornire informazione ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, è punito con la reclusione fino a quattro anni». Il titolo della legge è chiaro: «False informazione ai pm». Ilda Boccassini non ha mentito ai colleghi, ha semplicemente taciuto. Però la norma parla chiaro.

Una fuga di notizie, nel 1994, tre decenni fa. Una fuga che, paradossalmente, aveva già danneggiato le indagini di Boccassini, ai tempi. Che ritorna fuori, curiosamente, quasi trent’anni dopo e che esattamente trent’anni dopo le costa un’avviso di conclusione delle indagini (già inviato il mese scorso) e forse (è ancora tutto da vedere, è ancora tutto da capire: la procedura è una garanzia che vale per chiunque, anche per gli ex pubblici ministeri) una richiesta di rinvio a giudizio.

 

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