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Erminio Diodato, in galera da innocente: "Nessuno mi ridarà quei 5 mesi di vita in cella"

 Erminio Diodato

Alessandro Dell'Orto
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Ha perso sette mesi di libertà - cinque in carcere e due ai domiciliari - e un’azienda che fatturava 400mila euro l’anno. Gli hanno tolto la dignità, gli amici sono spariti e la vita è diventata un inferno per colpa di un’accusa infamante (detenzione di droga a fini di spaccio) e soprattutto falsa, poi smentita dalla sentenza di assoluzione «con formula piena». Ma tutto questo incubo, per lo Stato italiano, vale soltanto 60mila euro. È l’inquietante vicenda di Erminio Diodato, 62 anni, una storia di malagiustizia e sofferenza, angoscia. E di un risarcimento ridicolo.

Erminio Diodato, avevate chiesto 500mila euro e ve ne hanno concessi solo 60mila.
«Mettiamo subito in chiaro una cosa: non è una questione di soldi. Nessuna cifra mi avrebbe ripagato per quanto sofferto, per la dignità calpestata, per non essere stato creduto, per aver perso tutto ciò per cui ho lavorato una vita. La vittoria è che abbiano riconosciuto una seconda volta che avevo ragione».

Più la rabbia o la felicità?
«L’emozione: sono due giorni che piango».

Che lavoro fa ora?
«Aiuto una piccola azienda di meccanica pesante e giro l’Italia. Ho cambiato città: da Vergiate (Varese ndr) sono andato a vivere a Capriate, in provincia di Bergamo. Non ce la facevo più a stare là dove è successo tutto».

Perdoni la domanda diretta: quanto guadagna?
«Circa 2.500 euro al mese».

E prima di essere travolto da questa vicenda?
«L’azienda fatturava 400mila euro l’anno, ne mettevo da parte 4.500 al mese».

Di cosa si occupava?
«Riparazione di carrelli per il cibo negli aerei. Mi ero messo in proprio nel 2013, avevo buoni contatti a Malpensa. Ma all’inizio è stata dura: per un anno e mezzo ho dormito nei bagni del capannone per risparmiare e pagare gli stipendi. Poi ho trovato un’importante azienda svedese che mi ha dato lavoro e gli affari sono cresciuti sempre più, avevo sei dipendenti e due ingegneri. E due giorni prima del caos avevo firmato un contratto che prevedeva l’assunzione di altre due persone».

Già, il caos. È la mattina del 23 luglio 2020. Che succede?
«Mi telefonano dal commissariato di Gallarate e dicono di andare in azienda. Arrivato, chiedono se conosco un ragazzo albanese soprannominato Beppe. Dico di sì, che l’ho assunto per fare da badante a mio fratello schizofrenico e gli ho permesso di utilizzare i capannoni per tenere del suo materiale di lavoro».

 

 

Quindi aveva le chiavi?
«No, il magazzino era sempre aperto, non c’era niente da rubare. Poi mi spiegano che grazie a una telefonata anonima l’hanno beccato mentre usciva dall’azienda con un pacco di marijuana. E che dopo una perquisizione hanno trovato, nascosti in un carrello frigorifero, più di due kg di stupefacenti (erba e cocaina ndr) e una pistola. Dico che non ne so niente, ma non ci credono. E mi portano in caserma».

La arrestano subito?
«Mi prendono le impronte digitali e capisco che si mette male, anche perché so come vanno le cose avendo fatto il carabiniere per 11 anni. Solo a quel punto decido di chiamare un avvocato».

E si ritrova in cella.
«In isolamento per 10 giorni con un’ora d’aria quotidiana, ma senza poter incontrare nessuno per il Covid. Mi sembra di impazzire, non dormo più e sono costretto a prendere tranquillanti. Penso alle persone che mi conoscono, mi vergogno per quello che mi sta succedendo, mi mancano la moglie e i due figli. Scusi, mi sto commuovendo...».

...dopo l’isolamento la spostano?
«Vengo trasferito in una cella doppia. Poi mi contagio e vado nel reparto Covid con altri due detenuti e infine mi portano in un’altra sezione».

Perché quella smorfia?
«Non c’è la doccia e per lavarmi utilizzo l’acqua calda del radiatore mescolandola in un secchio a quella fredda del rubinetto».

Finché il 15 dicembre 2020, dopo 145 giorni, viene mandato ai domiciliari dove resterà fino al 17 febbraio 2021. Chiuda gli occhi: che ricordi le restano della prigione?
«Il rumore delle porte in ferro colpite dai detenuti, tutti insieme, per richiamare l’attenzione delle guardie. E il suono dei manganelli passati sulle sbarre per controllare che non siano segate. Ma c’è anche qualcosa di cui sono orgoglioso».

Cosa?
«Sono diventato il rappresentante dei carcerati italiani della mia sezione, una specie di sindacalista, per comunicare con il direttore: chiedevamo materassi nuovi e le reti delle porte del calcetto per mettere fine alle continue risse sui gol dubbi. Sì, ho fatto l’imprenditore anche in galera...».

Erminio, il 25 gennaio 2021 il processo e poi la sentenza: assolto per non aver commesso il fatto.
«Sarebbe bastato credere a Beppe l’albanese, che dopo solo 10 giorni ha confessato, durante un interrogatorio, che la droga era solo sua e io non sapevo niente. La nascondeva lì per poi portarla in Albania».

A proposito di droga, lei ne ha mai presa?
«Poca. In questa storia, però, mi ha salvato».

In che senso?
«Durante le indagini, perquisendomi la casa, hanno trovato una striscia di cocaina su un piattino: tempo prima avevo fatto una festa con alcuni colleghi. È stata analizzata e non era la stessa del magazzino, a dimostrazione che non c’entravo nulla».

 

 

Diodato, e l’azienda?
«Chiusa. Mi è stata revocata la licenza dell’Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile ndr), i clienti sono spariti, altre società concorrenti hanno fatto girare su internet le immagini dei carabinieri all’interno del mio capannone e molti contratti sono stati annullati».

Lei come è cambiato?
«Ho perso il sorriso. Ero uno sempre allegro, di buon umore: ora non lo sono più».

Cosa ne pensa della giustizia italiana?
«Troppi magistrati sono impreparati. E non ascoltano, parlano e basta restando delle proprie idee qualsiasi cosa avvenga».

A chi vuole dire grazie?
«Ai due soli amici veri che non sono spariti. Alla mia famiglia. All’avvocato Concetto Daniele Galati che ha creduto in me e mi ha salvato. E a quelle poche persone buone che ancora esistono, come il fornitore che, nel pieno del caos, di fronte alle fatture non pagate mi ha detto: “Erminio, non ti preoccupare, ci sistemiamo quando sarà tutto finito”».

A chi invece dedica uno sguardo - diciamo - di delusione?
«Alla proprietaria del capannone. Mentre ero in carcere mi ha fatto inviare una lettera dal suo avvocato per una rata da 1.000 euro di spese condominiali non pagate. E a chi, in conferenza stampa dopo il mio arresto, spiegava ai giornalisti che trasformavo la cocaina da liquida a solida. Come se fossi laureato in chimica».

Diodato, cosa suggerirebbe a chi si dovesse trovare nella sua situazione? «Direi solo: “In bocca al lupo, è tutto un terno al lotto».

Ultimissima. Cosa se ne farà dei 60mila euro?
«Li investirò per riaprire un’attività tutta mia e ripartire da capo. Ma ho già iniziato a mettere da parte un po’ di soldi per conto mio: quelli dello Stato chissà quando arriveranno...».  

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