Dossieraggi e procure, l'Italia dei paradossi: le domande in cerca di risposta
Siamo nel Paese dei paradossi. Le fughe di notizie sono all’ordine del giorno e interessano quasi tutti i fascicoli “scottanti”, spesso finiti successivamente in archiviazioni e proscioglimenti. Ma se esse riguardano un magistrato (nel caso il dott. Antonio Laudati, in servizio presso la Procura Nazionale Antimafia) diventano intollerabili, e il magistrato in questione sceglie di non rispondere all’interrogatorio dei colleghi perugini in quanto «le incontrollate fughe di notizie hanno trasferito la vicenda sul piano mediatico e politico» e hanno fatto venire meno le condizioni per lo svolgimento dell’interrogatorio fissato.
Al di la del paradosso, Daniele Capezzone - nel suo articolo del 20 marzo - ha proposto una serie di interrogativi che non possono nè devono rimanere senza risposta, evitando il concreto pericolo di insabbiamento e/o di rimaneggiamento di un episodio (migliaia di cittadini monitorati attraverso l’accesso abusivo a banche che dovevano essere riservate in quanto contenenti dati sensibili) di cui stento a trovare un eguale nella storia, pur ricca di scandali o presunti tali, della prima e seconda Repubblica. Attendo anch’io, da magistrato e non da giornalista, la risposta ad una serie di interrogativi che attengono al ruolo del sottufficiale Striano, del magistrato suo referente e superiore (Laudati) e dell’allora Procuratore Nazionale Cafiero De Raho oggi parlamentare grillino e membro della Commissione antimafia ma all’epoca superiore di Laudati e degli altri magistrati in servizio presso la Dna. Chi sono i mandanti dell’operazione, non essendo credibile che lo Striano abbia agito da solo per procurare materiale ad uno o più giornali?
Quali i motivi del suo comportamento? Una utilità economica o prospettive di avanzamento in carriera? La certezza di una copertura per una operazione su vasta scala ed a servizio di imprecisati committenti italiani o stranieri? Quale il tornaconto di una operazione di tanta consistenza? Come mai nessuno (Laudati, De Raho, altri magistrati in servizio presso la Dna) ha esercitato i doverosi controlli rendendo possibile un’attività di spionaggio massiccia e prolungata nel tempo?
Come mai tardano ad arrivare misure cautelari a carico del responsabile che, una volta perseguito con la giusta energia, potrebbe decidere di vuotare il sacco? Solo ipergarantismo nel Paese e con le procure che ci hanno abituato alle manette facili? C’è la possibilità che sia fatta luce su una vicenda così inquietante in cui sono messe in pericolo le basi della convivenza civile ed i principi di una sana democrazia? In questo momento tornano alla mente i non pochi casi di indagini al rallentatore quando riguardano responsabilità di magistrati: il caso di Palamara, che avrebbe dovuto far saltare il coperchio nel mare magnum dei giochi correntizi e delle logiche spartitorie, sembra essersi richiuso con un nulla di fatto.
Personalmente ribadisco le mie antiche convinzioni sulla necessità di separazione delle carriere, su responsabilità civile ed intrecci tra magistratura e politica, sulle quali è sperabile che finalmente il Ministro Nordio voglia intervenire con risolutezza e tempestività. Ne va di mezzo la stessa credibilità dell’istituzione giudiziaria.
di Bruno Ferraro
Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione