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Open Arms, Richard Gere: "Troppa fatica", preferisce Damilano al tribunale

Brunella Bolloli
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 La poltrona di pelle del suo studio nella mega villa di New York è di sicuro più comoda di una sedia dell’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo. Le telecamere della televisione italiana sono accese e da vera star internazionale può perfino rimanere in tuta a dire ciò che vuole, in grande relax.

Tanto lui è Richard Gere e, pur essendo parte civile, ha deciso di non presentarsi in tribunale dove era stato chiamato come testimone nel processo Open Arms in cui è imputato Matteo Salvini, ma di collegarsi con Il Cavallo e la Torre, trasmissione di Raitre condotta da Marco Damilano, altro che TeleMeloni.

 

 

 

Peri parlamentari leghisti che siedono in Vigilanza si tratta di «un brutto film» e alla domanda sulla sua assenza in tribunale l’attore ha spiegato di avere offerto una testimonianza scritta ai magistrati siciliani, sostenendo che «è difficile arrivare a Palermo» (e qui ci sarebbe da scatenare la rivolta della cassata). I giudici però non l’hanno accettata. Richard ha fatto quindi sapere di essere lieto di collegarsi con il salottino di Damilano «perché è importante esprimersi su quanto stava accadendo su quella nave».

 

 

 

Solo che il giornalista autore del “colpaccio” sperava forse in qualche bordata del divo contro quei cattivoni che ci governano, ha pure buttato là una domandina in cui si leggeva la volontà di polemica verso Salvini in diretta tv, invece l’attore tra una citazione del Dalai Lama, la pace nel mondo e il fatto che siamo tutti fratelli, ha elogiato il nostro Paese sostenendo che «gli italiani hanno fatto un lavoro egregio». «Vi ammiro», ha aggiunto, riconoscendo che siamo penalizzati a causa della nostra vicinanza all’Africa e soprattutto alla Libia. Anzi, Gere ha pure spiegato che Unione europea e Onu dovrebbero collaborare di più con l’Italia e, sebbene lui non possieda un aereo privato, si è definito «un privilegiato», e non stava recitando.

Il protagonista di American Gigolò ha ripercorso in tv quel giorno dell’estate del 2019 quando, con alcuni amici, si è dato da fare per salire a bordo della nave della Open Arms per rendersi conto di persona della condizione dei migranti. Mentre racconta scorrono le immagini di lui circondato dai profughi ai quali ha portato aiuti e viveri.
Come è arrivato Richard Gere su quell’imbarcazione? Dopo vari tentativi. Il nostro eroe si trovava in vacanza in Italia quando qualcosa ha attirato la sua attenzione: una legge, afferma, «che rendeva un reato aiutare le persone in mare. Per me era incredibile, soprattutto in Italia, un Paese meraviglioso, con una popolazione generosa».

 

 

 

Mr. Jones senza mai citare Salvini spiega a Damilano di avere sentito di questa «legge crudele», che non consentiva ai profughi di sbarcare e di «questa nave che non poteva entrare a Lampedusa, dove io ero già stato. Ero rimasto commosso dalle storie di quelle persone provenienti da vari Paesi, ed ero commosso dall’intervento degli italiani e anche dal governo e dalle autorità competenti rispetto alle immigrazioni».

 

 

 

Salito a bordo, Gere ha visto circa 124 persone «all’addiaccio» e ha incontrato i volontari che distribuivano cibo e acqua. «C’erano medici ed esperti per l’assistenza psicologica alle persone traumatizzate non solo dal naufragio, ma anche dalle settimane di navigazione». La star di Pretty Woman, che nella celebre pellicola s’innamora di una prostituta e le cambia la vita, cita i «fratelli e le sorelle che hanno passato l’inferno in Libia» e che saliti su una carretta del mare sono stati poi «salvati da Open Arms». Non nasconde di avere contatti con la Ong spagnola e ripete che serve «una responsabilità comune», che spetta a tutto il mondo. Un po’ Ufficiale e un po’ po’ Gentiluomo. Il dramma dell’immigrazione non si risolve con tre parole dette in tv. Ma questo lo sa anche lui.

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