Stefano Esposito, l'ex senatore Pd intercettato illegalmente 500 volte
Per ben tre anni l’allora senatore del Pd Stefano Esposito venne intercettato senza alcuna autorizzazione del Parlamento, in totale violazione delle guarentigie previste dalla Costituzione. Lo ha stabilito ieri la Consulta, ora guidata dall’ex parlamentare del Pci Augusto Barbera, che ha quindi accolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato nel 2022 dal Senato contro la procura ed il tribunale di Torino.
Esposito, senatore dem dal 2013 al 2018 ed ex assessore ai Trasporti del comune di Roma con il sindaco Ignazio Marino, molto noto per le sue posizioni contro i No-Tav, nel 2015 era finito nel mirino dei carabinieri del capoluogo piemontese che indagavano l’imprenditore Giulio Muttoni, definito «il re dei concerti» e suo amico di lunga data, tanto da fargli da padrino al battesimo di una delle figlie.
I militari dell’Arma, in particolare, ipotizzando infiltrazioni e condizionamenti da parte di esponenti della criminalità organizzata calabrese nell’attività di organizzazione dei concerti portata avanti da Muttoni con la società Set Up Live, avevano deciso di mettergli sotto controllo le utenze telefoniche dai cui ascolti era immediatamente emerso il suo stretto legame con Esposito.
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L’articolo 68 della Costituzione sul punto però è chiaro: i membri del parlamento non possono essere intercettati senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza, e nel caso l’intercettazione sia effettuata in maniera “casuale”, come in questo caso, l’autorità giudiziaria deve chiedere un’autorizzazione successiva. I carabinieri, comandati dal colonnello Luigi Isacchini e coordinati nel tempo dai pubblici ministeri Paolo Toso, Antonio Smeriglio e Gianfranco Colace, invece di interrompere le intercettazioni tra Muttoni ed Esposito, identificato chiaramente subito dopo l’avvio delle indagini in un’annotazione come «senatore della Repubblica italiana», avevano continuato imperterriti nell’ascolto delle loro conversazione. Alla fine i colloqui fra Muttoni ed Esposito intercettati senza alcuna autorizzazione del Senato saranno oltre cinquecento. Ventiquattromila quelli a carico del solo Muttoni, un record senza precedenti nella storia giudiziaria della Repubblica.
L’ipotesi investigativa sulle infiltrazioni della criminalità organizzata era naufragata quasi subito e nei confronti dell’imprenditore vennero aperti nuovi procedimenti, anche sulla base delle conversazioni con Esposito e che, captate in assenza di autorizzazione del Parlamento, sarebbero state inutilizzabili e da distruggere. Ad Esposito al termine delle indagini la procura di Torino deciderà di contestare i reati di turbativa d’asta, corruzione e traffico di influenze illecite, chiedendone il rinvio a giudizio, poi accolto da gip.
Esposito di fronte a questa plateale e senza precedenti violazione della Costituzione si era rivolto a Palazzo Madama dove, l’anno scorso, la giunta per le immunità gli aveva dato ragione, approvando anche la proposta dell'allora presidente Pietro Grasso di avanzare, dopo il voto dell’Assemblea e tramite la presidenza del Senato, una segnalazione al ministro della Giustizia, al procuratore generale presso la Corte di cassazione e al Consiglio superiore della magistratura, finalizzata ad attivare nei confronti dei magistrati che avevano avallato gli ascolti “illegali” un procedimento disciplinare.
«Non c’è nulla di cui essere contento», ha dichiarato ieri Esposito commentando la decisione della Consulta che ha stroncato l’attività degli inquirenti torinesi. «Mi hanno distrutto la vita», ha aggiunto amaro l’ex senatore dem. E da parte del Pd? «Nessuno solidarietà: Il Pd è ormai un partito giustizialista: è sufficiente un avviso di garanzia per essere fatti fuori», è stata la risposta di Esposito a chi gli chiedeva se avesse ricevuto una telefonata dalle parti del Nazareno. «Un parlamentare in carica è stato intercettato: non si può fare e lo si studia al primo anno di giurisprudenza. Quanto è costata questa inchiesta ai contribuenti? Farò di tutto perché il Csm se ne occupi», ha annunciato in una nota il renziano Ernesto Carbone.
Un esempio illuminante: perché è giusto vietare la stampa delle intercettazioni