Intercettazioni, ecco perché è giusto vietarne la stampa
Proviamo con un esempio, così vediamo se è tutto chiaro. Con l’aiuto della intelligenza artificiale, mettetevi a cercare una fotografia, un video di un processo celebrato in Inghilterra o in un Paese di tradizione inglese. Non ne troverete. Al mondo esistono consolidate democrazie nelle quali l’ingresso nelle aule di giustizia delle telecamere e delle macchine fotografiche è inibito da sempre. In molti Stati della Confederazione americana, poi, è consentito pubblicare disegni che ritraggono l’accusato alla sbarra, ma non le sue immagini. Altro che Un giorno in Pretura, in cui vengono mostrate (fedelmente) le deposizioni di questo o di quel testimone...
Eppure, pensandoci bene, le riprese di un dibattimento dovrebbero soddisfare appieno il diritto alla informazione, tanto di chi la fa, quanto di chi la riceve. E, pensandoci ancora meglio, non serve molto tempo per capire che il dibattimento è il luogo in cui si forma la prova e si pronunciano (in nome del popolo) le sentenze. Eppure, si dice, il divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari e delle intercettazioni telefoniche costituisce un bavaglio per coloro che “fanno” informazione e un pregiudizio per coloro che, invece, la ricevono. Inoltre, si dice ancora, la pubblicazione della sintesi del contenuto degli atti appena citati rischia di fornire notizie condizionate dall’orientamento del giornalista e, comunque, di riprodurre in modo parziale la notizia.
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Sono perplesso. Ricorderei a chi legge che stiamo parlando di ordinanze cautelari, che contengono valutazioni opinabili ex lege sugli elementi di prova raccolti nella fase delle indagini e non prove assunte in un pubblico dibattimento, al quale il procedimento potrebbe non approdare mai, mentre la ricaduta sul presunto non colpevole potrebbe rivelarsi addirittura irrimediabile. Bavaglio è ciò che impedisce di parlare liberamente; prudenza e rispetto, invece, sono qualità dello spirito che, quando le cose non sono ancora chiare, scongiurano la distruzione delle persone. Si tratta, in altre parole, di mettere sulla bilancia gli interessi contrapposti e verificare se il tanto criticato divieto rappresenta davvero un vulnus alla libertà. Parliamo di questo, magari volgendo lo sguardo anche al di fuori dei nostri confini.
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