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Magistratura contro governo, è tutto scritto nei documenti ufficiali

Fausto Carioti
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A suo modo la diagnosi di Magistratura Democratica, la corrente di sinistra dei magistrati, è semplice: l’Italia ha un problema chiamato «maggioritarismo», che in sostanza è la pretesa della maggioranza di legiferare e governare autonomamente, forte della legittimazione elettorale. Ed è un problema perché i valori di chi ha vinto le elezioni deviano dalla Costituzione o sono addirittura «parafascisti», come ha spiegato il giurista ed ex giudice Luigi Ferrajoli al congresso di Md. La terapia sono loro, i magistrati. O meglio: «la magistratura e la sua fisiologica costituzionale funzione anti-maggioritaria a tutela dei diritti fondamentali», come ha detto due mesi fa Stefano Musolino, segretario di Md, al congresso di Area, la lista cui appartiene la sua corrente. Congresso dedicato proprio al «ruolo della giurisdizione all’epoca del maggioritarismo». È una vecchia convinzione, quella per cui la magistratura ordinaria, anziché applicare le leggi o sollevare questione di costituzionalità se le ritiene in contraddizione con la Carta, debba opporsi ad esse e a chi le ha varate. Già nella mozione con cui nacque Md, nel 1964, si legge che «il Costituente ha contrapposto il potere legislativo e il potere esecutivo da un lato e il potere giudiziario dall’altro, attribuendo quindi a quest’ultimo una posizione di formale e sostanziale autonomia». L’idea che il magistrato sia autonomo solo se si «contrappone» è rimasta, e la vittoria del destra-centro alle elezioni l’ha rafforzata.

LE RADICI NEGLI ANNI ’70
A Napoli, nel congresso di Md che si è svolto dal 9 all’11 novembre, Ferrajoli ha denunciato «la stretta alleanza tra le destre liberiste e le destre sovraniste e parafasciste», che in Italia è caratterizzata dalla «disumanità nei confronti dei ceti più deboli». Il «ruolo di Md», ha spiegato, deve essere allora «la critica e la garanzia dei diritti di fronte alle politiche illiberali e antisociali e, insieme, alle manomissioni della Costituzione promosse dalla destra». Del resto Ferrajoli, che oggi è professore emerito di Filosofia del diritto, fu uno degli autori del “libretto giallo» scritto in occasione del congresso di Md del 1971, nel quale si proponeva, «attraverso il collegamento organico con il movimento di classe, una cultura giuridico-politica alternativa all’ideologia tradizionale del diritto e della giustizia borghese».

 

 

Magistratura democratica ha una rivista, Questione Giustizia. Nell’ultimo numero l’editoriale di Rita Sanlorenzo, magistrato di Cassazione ed ex segretaria di Md, si conclude con un appello a fare muro dinanzi a governo e maggioranza: «Le più recenti prese di posizione della giurisdizione contro gli aspetti della legislazione che più macroscopicamente risultano in rotta di collisione con la nostra Costituzione e con la normativa eurounitaria lasciano ben intendere che, lungi dal seguire i venti della propaganda e dall’arrendersi al sentire della maggioranza, i giuristi ben sanno che cosa si richiede loro, tanto più in questi tempi così difficili». Chiaro il riferimento a Iolanda Apostolico e a suoi colleghi di Catania, che si sono rifiutati di applicare il “decreto Cutro”.

 

 

Il modello di magistrato che applica le leggi o le rinvia alla Consulta è ritenuto inaccettabile. La «funzione di garanzia» delle toghe, ha spiegato a marzo su Questione Giustizia l’ex giudice Nello Rossi, direttore della rivista, «non può essere assunta da un magistrato burocrate e richiede che l’interprete attinga nel compiere le sue scelte a valori indicati nella carta costituzionale e nelle carte dei diritti che si sono venute affermando». Il «burocrate» in toga è chi applica le leggi, «l’interprete» è colui che le osserva con la lente delle proprie convinzioni, arrivando a scelte come quelle della giudice Apostolico. Il «ruolo di garanzia dei diritti e della dignità delle persone e delle molte minoranze» spetta infatti ai magistrati. Ad esempio, spiega Rossi, per «l’affermazione di diritti dolorosi come quelli relativi al fine vita», ma anche per l’eguaglianza di genere, per la protezione dei diritti dei migranti e così via. Un programma di resistenza e supplenza a governo e parlamento. E il fatto che sia tutelato dalla libertà d’espressione non toglie che Guido Crosetto e i suoi colleghi abbiamo ottimi motivi per vedere dietro a questo profluvio di proclami il dispiegarsi di un’opposizione non parlamentare

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