Silvana Saguto, l'ex giudice antimafia va in cella
Nel primo grado è stata condanna (a Caltanissetta, in Sicilia) a otto anni e sei mesi di carcere. Pena leggermente aumentata in appello (sempre a Caltanissetta), con l’aggiunta di altri quatto mesi di galera (ma con lo stralcio dell’accusa di associazione a delinquere). Adesso la Cassazione ha messo la parola fine (a metà perché ha anche disposto un appello-bis per alcuni reati minori), dichiarando irrevocabile la sentenza d’appello e Silvana Saguto, l’ex presidente della sezione Misure di prevenzione nel foro di Palermo, l’ex magistrato dell’antimafia, ex perché è stata radiata dalla magistratura, è finita in prigione.
Assieme al marito Lorenzo Caramma (sei anni e due mesi), assieme al figlio Emanuele (quattro mesi), assieme, tra gli altri, all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara (sette anni e sette mesi) e al professor Carmelo Provenzano (tre anni). Gli ultimi due si sono consegnati alle autorità, Seminara a Milano e Provenzano a Roma. Saguto è stata arrestata mentre si trovava ricoverata in una clinica privata. I finanzieri del gruppo Tutela spesa pubblica sono andati a casa sua, a Palermo, casa che tra l’altro è stata confiscata, venerdì pomeriggio, ma non l’hanno trovata. È stata comunque portata in cella.
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Il “cerchio magico Saguto” (così lo hanno definito i giudici di Caltanissetta), dodici imputati, corruzione e concussione e abuso d’ufficio (i reati confermati in appello), una cattiva gestione dei beni confiscati alla mafia, assegnati solo al suo “cerchio magico” (appunto) in cambio di favori e regali, almeno stando all’accusa. A tradire l’ex magistrata sarebbe stato il suo tenore di vita, “troppo elevato”, ma ci sarebbe anche una mazzetta da 20mila euro contenuta in un trolley di Seminara: lui, la difesa, continuano a sostenere si trattasse solo di documenti, secondo il tribunale «i reati sono stati commessi in adesione a un patto corruttivo, di scambio di reciproche utilità senza che mai si possa individuare l’appartenenza aun gruppo stabile e duraturo».
Saguto, dal canto suo, ha sempre sostenuto di aver agito con correttezza nella gestione dei beni sequestrati, epperò la procura di Caltanissetta, nel corso dell’inchiesta, ha parlato di «un quadro di desolante strumentalizzazione della funzione giurisdizionale a favore di una gestione privatistica, caratterizzata da un intreccio di rapporti personali e di condotte fondate sul dato costante dell’assoluta marginalizzazione dell’interesse pubblico connesso alle funzioni giurisdizionali». «Questo non è un processo all’antimafia o a una certa antimafia», ha precisato nel corso della sua requisitoria Lia Sava, ex procuratrice generale di Caltanissetta, «abbiamo solo fotografato alcune condotte illecite. E vi assicuro che è stato un processo doloroso, molto doloroso anche per noi, non solo per gli imputati. Un dolore lancinante, un coltello senza manico. Ci siamo feriti anche noi».
Pietro Cavallotti, invece, che è un imprenditore di Belmonte Mezzagno, Comune nel Palermitano, la cui famiglia è stata coinvolta ingiustamente in un processo per mafia (suo padre e suo zio sono stati poi prosciolti da qualsiasi accusa, «eppure il tribunale presieduto da Saguto ci ha confiscato tutto il patrimonio» restituendolo soltanto con «una società in liquidazione e debiti per dieci milioni di euro») commenta: «Saguto ha rovinato la vita ti tante persone e anche la sua. Eppure, non c'è alcuna soddisfazione. Il carcere è il degrado assoluto della società e chi lo ha subito da innocente non lo augura a nessuno. Quello che vogliamo è che venga cambiata la legge. Giustizia sarà fatta quando lo Stato pagherà i danni e restituirà il patrimonio a quegli innocenti a cui è stato rubato».
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