Giulio Regeni, la Consulta sblocca il processo: 007 egiziani alla sbarra
Sbloccato il processo sul sequestro, le torture e la morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano che ha perso la vita in Egitto quasi otto anni fa: lo ha deciso la Corte costituzionale, la quale ha dichiarato "anticostituzionale" la norma che finora ha permesso ai quattro imputati egiziani di sottrarsi al giudizio, non comunicando i loro indirizzi. Proprio questa norma non rendeva possibile la notifica degli atti e, di conseguenza, il processo, come stabilito in precedenza dalla Corte di Assise di Roma e dalla Cassazione. Gli imputati sono quattro appartenenti alle forze di sicurezza della Repubblica araba d’Egitto: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Mohamed Athar Kamel e Helmy Uhsam, e il maggiore Magdi Ibrahim Sharif. Sono accusati di aver rapito al Cairo, la sera del 25 gennaio 2016, Regeni, che poi è stato ritrovato morto per strada il 3 febbraio successivo.
La Consulta ha stabilito che nei casi di tortura, quando lo Stato straniero non collabora, il processo si può tenere anche senza le notifiche. Proprio quanto sostenuto dal gup di Roma, che aveva chiesto l'intervento della Corte. “Le norme costituzionali che indicano le basi del giusto processo sono completamente pretermesse – aveva scritto - perché in mancanza di una disciplina che consenta di procedere in assenza dell’imputato quando il suo stato di appartenenza o di residenza non cooperi con il giudice terzo e imparziale, tutte le norme sul giusto processo sono rese vane svuotate di contenuto. Non vi è processo più ingiusto di quello che non si può instaurare per volontà di un’autorità di governo".
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La Consulta – si legge nel comunicato – "ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice proceda in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’art. 1, comma 1, della Convenzione di New York contro la tortura, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa".
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