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Bruno Lazzerotti e l'amico morto? "Inverosimile", l'ultimo disastro dei giudici

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Una storia che ha dell'assurdo e che lo stesso sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser ha definito "kafkiana". Protagonista Nicola Alfano, visagista accusato di avere ucciso nel 2019 l'amico Bruno Lazzerotti. Alla base della prima e seconda condanna a 15 anni per omicidio volontario il fatto che la sua versione per i giudici era "inverosimile". Poi la svolta, oggi il 49enne è stato scarcerato con i giudici dell'appello bis che hanno riqualificato l'accusa in omicidio colposo portando la pena a 2 anni e 2 mesi. Stando alle prime accuse che lo portarono alla condanna, l'uomo avrebbe simulato un incidente d'auto in una roggia nel Pavese.

 

 

Lazzerotti, 78 anni e vedovo, aveva iniziato a uscire con una donna e, secondo l'accusa, la paura di perdere l'eredità da circa cinque milioni di euro sarebbe stato il motivo per cui Alfano, legato da una lunga amicizia con il pensionato di cui era erede, lo avrebbe affogato in una roggia nel Pavese, fingendo che l'auto su cui i due viaggiavano fosse finita nel canale.

 

 

Il pg Tarfusser ha fatto però ricorso chiedendo di cancellare l'accusa per il 49enne, difeso dai legali Federico Cecconi e Nicolò Velati, e insistendo sul fatto che si fosse trattato semmai di un omicidio colposo, di un incidente. Tarfusser, ha spiegato, è andato di persona a fare una "ispezione dei luoghi". Risultato? Per lui la condanna era stata "frutto, non della valutazione delle prove" che "non ci sono", ma solo del "giudizio di inverosimiglianza della versione" dell'imputato. Non solo, perché il 9 giugno 2020, dopo quasi un anno dalla morte dell'anziano, la Procura emise un decreto di intercettazioni "d'urgenza". Intercettazioni che hanno portato la Procura, ma anche i giudici, a concludere che "proclamarsi innocenti", come faceva l'uomo al telefono, "equivale a dichiararsi colpevoli".

 

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