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Imputazione coatta e segreto istruttorio: la sfida del governo alle toghe

Fausto Carioti
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Niente disarmo unilaterale da parte del governo Meloni. Anzi. Il primo risultato dello scontro tra la presidenza del consiglio e una parte delle toghe è che il disegno di riforma della giustizia penale approvato a palazzo Chigi nemmeno un mese fa, e ora in attesa della firma di Sergio Mattarella, è già ritenuto incompleto. Deve essere integrato con l’abolizione, o una profonda riscrittura, dell’articolo 409 del Codice di procedura penale, nella parte in cui consente al giudice delle indagini preliminari di non accogliere la richiesta di archiviazione presentata dal pm, e di ordinare a quest’ultimo l’imputazione coatta dell’indagato. E non finirà qui: altri disegni di legge per cambiare il sistema giudiziario arriveranno, avverte Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del consiglio. Uno che parla poco, e mai a caso. L’annuncio del rialzo della posta lo hanno dato ieri mattina gli uffici di Carlo Nordio. L’imputazione coatta del sottosegretario Andrea Delmastro decisa dalla gip di Roma, sostengono al ministero della Giustizia, dimostra «l’irrazionalità del nostro sistema». In Italia, infatti, il pm è «il monopolista dell’azione penale e quindi, razionalmente, non può essere smentito da un giudice sulla base di elementi cui l’accusatore stesso non crede». Inoltre «la grandissima parte delle imputazioni coatte si conclude con assoluzioni, dopo processi lunghi e dolorosi quanto inutili». È necessaria, dunque, «una riforma radicale» del sistema.

 

 


«SCONCERTO E DISAGIO»
Più radicale di quella già annunciata, che intanto va avanti. A maggior ragione dopo il trattamento che la procura di Milano ha riservato a Daniela Santanchè, indagata da nove mesi senza mai aver ricevuto un avviso di garanzia. «C’è sconcerto e disagio per l’ennesima comunicazione a mezzo stampa di un atto che dovrebbe rimanere riservato», dicono a via Arenula. Le modifiche che dovrebbero raddrizzare queste storture sono nel disegno di legge già varato, e riguardano le norme che disciplinano l’iscrizione nel registro degli indagati e l’avviso di garanzia, che dovrà restare segreto sino al termine delle indagini. Adesso, fa sapere il guardasigilli, «è urgente» approvarle. Nelle stesse ore, al vertice G7 di Tokyo, Nordio ha ribattuto al commissario Ue alla Giustizia, il belga Didier Reynders, che in un’intervista a Repubblica si era detto «preoccupato» per l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio. Gli ha spiegato che il Codice penale italiano dedica ai delitti contro la pubblica amministrazione diciotto fattispecie, delle quali l’abuso d’ufficio rappresenta quella residuale. I numeri lo confermano: nel 2021, su un totale di 5.292 procedimenti, si sono registrate appena 9 condanne. A Bruxelles, insomma, si sono agitati inutilmente: il reato che sarà abolito non è quel baluardo contro la corruzione che certe procure e la sinistra vogliono far credere.


Su questa linea concorda tutto il governo. Mantovano, sino a pochi mesi fa magistrato di Cassazione, ieri a Bari, alla festa della Uil, ha raccontato di aver chiesto al ministero della Giustizia quanti sono i procedimenti in cui il gip respinge la richiesta di archiviazione e ordina al pm l’imputazione coatta. «Mi hanno risposto che il dato è così poco significativo dal punto di vista statistico che non viene rilevato. Credo che non ci sia bisogno di commento». Un modo istituzionalmente corretto per dire che quello riservato a Delmastro è un trattamento eccezionale.

 


Ma «il problema dell’interferenza di alcune iniziative giudiziarie sull’attività politica», ha avvisato Mantovano, «riguarda centrodestra e centrosinistra, e nel corso di questi trent’anni ha colpito tutti i governi, qualunque fosse il loro orientamento». Il riferimento è al governo Prodi II con l’inchiesta sul guardasigilli Clemente Mastella, alle attenzioni giudiziarie verso Matteo Renzi quando era presidente del consiglio e all’“avvertimento” che il pm Gherardo Colombo lanciò alla commissione bicamerale guidata da Massimo D’Alema, affinché non scrivesse una nuova Costituzione figlia della «società del ricatto». Morale di Mantovano: «Questo problema dovremmo porcelo tutti, qualunque sia il ruolo». In ogni caso, assicura, il governo non si ferma: quello presentato nelle scorse settimane «è il primo disegno di legge di riforma del sistema giudiziario, ne seguiranno altri».


IL NODO DELLE CARRIERE
L’elefante nella stanza, di cui ancora si parla poco e sottovoce, è la separazione delle carriere, l’intervento più dirompente. È prevista nel programma con cui il centrodestra ha vinto le elezioni, ma per farla serve la riscrittura della Costituzione. Che è già allo studio, per introdurre l’elezione diretta del capo del governo: bisognerebbe integrarla con un capitolo importante. L’ipotesi è sul tavolo, ma serviranno forza politica e nervi saldi. Ciò che si è visto negli ultimi giorni è poca roba rispetto a quello che certi magistrati potrebbero fare se davvero l’esecutivo imboccasse tale strada.

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