Piercamillo Davigo condannato, clamoroso in tribunale: 1 anno e 3 mesi
Il tribunale di Brescia ha condannato a un anno e tre mesi (pena sospesa) Piercamillo Davigo, ex componente del Csm ed ex magistrato simbolo del pool di Mani Pulite per rivelazione di segreto d'ufficio nell'inchiesta sulla presunta loggia Ungheria. La sentenza accoglie la richiesta della pubblica accusa che aveva chiesto la condanna per aver preso dalle mani del pm milanese Paolo Storari - assolto in via definitiva al termine del processo abbreviato - i verbali segreti di Piero Amara, in cui l'ex avvocato esterno di Eni ha svelato l'esistenza della presunta associazione massonica. All'imputato la corte ha riconosciuto le attenuanti generiche, le motivazioni saranno rese note tra 30 giorni.
Le dichiarazioni furono rese da Amara in cinque interrogatori, tra il 6 dicembre 2019 e l'11 gennaio 2020, nell'inchiesta sul cosiddetto 'falso complotto Eni', di cui Storari era uno dei titolari insieme alla collega Laura Pedio. Una consegna avvenuta a Milano nell'aprile del 2020, da stessa ammissione di Storari, a casa di Davigo a cui fu data una chiavetta con gli atti secretati per poter denunciare la presunta inerzia a indagare da parte dei vertici della procura milanese - in particolare dall'allora procuratore di Milano Francesco Greco e dall'aggiunto Pedio - sull'ipotetica loggia Ungheria di cui avrebbero fatto parte personaggi delle istituzioni e delle forze armate, oltre che due componenti del Csm in carica in quel momento.
La corte presieduta dal giudice Roberto Spanò ha condannato Davigo, ma ha concesso all'imputato "il beneficio della sospensione della pena e la non menzione della condanna nel casellario giudiziario". Davigo, oltre al pagamento delle spese legali, dovrà risarcire la parte civile, l'ex consigliere del Csm Sebastiano Ardita "nella misura di 20mila euro". Si chiude così con una condanna in primo grado la vicenda giudiziaria che ha segnato e spaccato la procura di Milano.
Storari consegnò quei verbali segreti, non firmati e in formato word, rassicurato dall'inopponibilità al segreto rivendicata dal consigliere del Consiglio superiore della magistratura, ma Davigo agì - per la pubblica accusa - fuori dalla procedura formale descritta in due circolari e invece di impedire la diffusione di quegli atti svelò, a quasi una decina di persone, quelle informazioni rese dal controverso Amara - sulla cui credibilità più procure si sono trovate a discutere - per screditare il collega Ardita, il cui nome avrebbe fatto parte di quei verbali segreti. La scelta di Davigo ha fatto sì che tutto "sia rimasto nel chiacchiericcio e nell'uso privato di informazioni pubbliche" è la tesi dei pm Francesco Carlo Milanesi e Donato Greco. "Appare difficile ritenere che la gestione di questa vicenda abbia incrementato la fiducia dei cittadini: non si è evitato alcun danno, si è semplicemente scelto chi e quando doveva sapere" le parole usate nella requisitoria. E così, nel cortile del Csm lontano da cellulari pericolosi, Davigo informò diversi colleghi - in assenza di una ragione ufficiale - del contenuto per metterli in allarme dal frequentare i "consiglieri Ardita e Mancinetti", mostrò e fece leggere quei documenti su cui la procura di Milano manteneva il più stretto riserbo. Il vicepresidente del Csm David Ermini, "ritenendo irricevibili quegli atti ed inutilizzabili le confidenze ricevute", immediatamente distrusse copia dei verbali. La "più grave", per l'accusa, è la rivelazione a Nicola Morra: "è esterno al Csm, è un parlamentare che non ha nessun titolo per conoscere quelle informazioni. Quella rivelazione è la più grave, ma quelle antecedenti e successive sono ulteriormente illecite". Contestata anche la rivelazione alle ex segretarie Giulia Befera e Marcela Contrafatto: "Era facilissimo tenerle fuori da questo circuito informativo, si è scelto di non farlo". E così il magistrato che per una vita si è battuto in nome della legalità è stato condannato per la prima volta.