Paolo Mieli, la confessione (30 anni dopo): quel giorno in cui i magistrati...
Si sa già tutto del cosiddetto scoop del 21 novembre 1994, quando il premier Silvio Berlusconi fu indagato per Mani pulite e la notizia fu pubblicata sul Corriere della Sera proprio mentre lui presiedeva un summit mondiale a Napoli sulla criminalità: anche se l’allora direttore del Corriere Paolo Mieli, lunedì sera - durante uno speciale su La7 dedicato a Berlusconi alla presenza di Enrico Mentana e Urbano Cairo – fingeva che ci fosse ancora chissà che cosa da nascondere, chiedendosi peraltro come mai la magistratura non l’avesse mai interrogato sul tema. Si sa già tutto della talpa femminile che passò a un cronista del Corriere una carta con la notizia: e lo si sa perché il racconto è già stata pubblicato nel libro La guerra dei 30 anni, 1992-2022 (Marsilio) e poi ampiamente diffuso dal lettissimo Dagospia prima di ricevere, dopo la pubblicazione, le più autorevoli conferme anche dall’interno del Corriere. Si sa che lo scoop fu scippato dal cronista Gianluca Di Feo al collega Paolo Foschini di Avvenire, si sa della nottata di Mieli passata al piano della cronaca a confezionare una falsa prima pagina del Corriere e di molto altro: anche se ora, per questioni di spazio, dovremmo ridurre il racconto di due terzi.
Proviamo. A carico di Silvio Berlusconi, il 21 novembre 1994, la procura optò per un «invito a comparire» che in pratica era una convocazione. A scrivere le quattro pagine fu il pm Antonio Di Pietro. La prima conteneva il nome di Berlusconi e due capi d’imputazione (tangenti Mediolanum e Mondadori) e nelle altre il Cavaliere era accusato per tre tangenti alla guardia di finanza (Videotime, ancora Mediolanum e Mondadori). I dettagli contano.
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DOV’È BERLUSCONI?
Il procuratore capo Francesco Saverio Borrelli passò il provvedimento a Piercamillo Davigo affinché procedesse all’iscrizione nel registro degli indagati. Quasi mezzogiorno e in corridoio passarono i comandanti regionale e provinciale dei carabinieri, Nicolò Bozzo e Sabino Battista, agghindati con la mantella di gala. Borrelli chiese loro dove si trovasse quel giorno Berlusconi. Dissero che era a Napoli ma che poi sarebbe rientrato a Roma. Borrelli attorno alle 14 li accompagnò all’ascensore e qui incrociarono Di Feo, figlio di un carabiniere: il quale chiese che cosa ci facessero lì. Davigo addusse una frettolosa balla (la festa della Virgo Fidelis, patrona dell’arma) ma Di Feo non la bevve, ma fu solo un altro piccolo segnale tra i tanti che da settimane allertavano i giornalisti dopo il «preavviso» a Berlusconi annunciato da Borrelli in un’intervista del 5 ottobre precedente. I due ufficiali passarono la busta gialla al tenente colonnello Emanuele Garelli e al maggiore Paolo La Forgia, subito partiti per Roma. In procura, in realtà, un solo giornalista aveva già saputo con certezza che l’invito a comparire per Berlusconi era stato firmato: Paolo Foschini di Avvenire. Solo lui. Più tardi, alla macchinetta del caffè, Davigo incontrò ancora Di Feo assieme a Foschini e Cristina Bassetto dell’AdnKronos e si lanciò in un elogio del comandante Bozzo. Quella sottolineatura rafforzò altri sospetti.
SOSPETTI
Con i sospetti però non ci facevi niente: Foschini sapeva che per scrivere gli occorreva ben altro, e tanto più su un quotidiano come Avvenire. Il pool dei giornalisti si era ormai sfaldato e Goffredo Buccini del Corriere a ottobre era stato promosso inviato, peraltro a Roma. Foschini era alle prime armi ma aveva un discreto rapporto con Di Feo del Corriere e tanto gli bastò per tentare un azzardo nella consapevolezza che la notizia che aveva non avrebbe potuto scriverla da solo: gli serviva una spalla. Prese da parte Di Feo e gli rivelò che Berlusconi era indagato, e che loro due, alleandosi, avrebbero potuto trovare i riscontri per poterlo scrivere. Di Feo si disse d’accordo ma corse dal capocronista Alessandro Sallusti e rivendette la notizia come sua; di Foschini non fece cenno. Berlusconi era indagato e urgeva la presenza di Buccini, perché aveva – era noto – una talpa particolare in procura che poteva rivelarsi decisiva.
Buccini s’involò per Milano e preallertò la sua fonte in procura, una donna che in precedenza non si era dimostrata insensibile al fatto che lui fosse un uomo. L’invito a comparire intanto stava per giungere nella Capitale. Verso le 19 il cronista/inviato passò dalla sua fonte «al solito posto», vicino alla procura. La fotocopia, o stampata che fosse, fu nelle sue mani anche se era un foglio solo. Buccini fu in redazione verso le 20.30 e intanto era tornato anche il direttore Paolo Mieli, rimasto fuori tutto il giorno – pur aggiornato per telefono – e reduce dalla presentazione del libro Presto con fuoco, romanzo di Roberto Cotroneo.
I carabinieri intanto erano giunti a Palazzo Chigi – 19.30 – ma Berlusconi non c’era: un consigliere diplomatico chiamò Gianni Letta che a sua volta chiamò Berlusconi, che non si era mai mosso da Napoli. Verso le 20, gli ufficiali chiamarono Borrelli per sapere che cosa dovevano fare. Il procuratore, che aveva ricevuto anche un’ansiosa telefonata di Buccini a cui aveva risposto picche, aveva fretta che Berlusconi sapesse del provvedimento e li autorizzò a telefonare per leggergli l’atto, cosa di cui si incaricò il comandante Garelli. La chiamata durò meno di un minuto, perché stava per cominciare il concerto al teatro San Carlo. Berlusconi capì soltanto che c’erano grane. Rimandarono a più tardi, e fu il Cavaliere a richiamare alla fine del concerto, verso le 23: si sorbì la lettura solo della prima pagina e, seccato, diede appuntamento per l’indomani.
Lo scoop, nei fatti, era solo una carta incompleta consegnata qualche ora prima che il destinatario la rendesse nota comunque e per intera: ma sarà una robusta spallata che favorirà la caduta del governo oltreché l’inizio di un procedimento che condurrà l’indagato a un’assoluzione per non aver commesso il fatto. E consisterà in uno «scoop» che nei libri di Bruno Vespa, non per sua colpa, sarà descritto come la scoperta dello scandalo Watergate con tanto di inesistente «gola profonda»: ma la fonte, invece, era appunto una donna che lavorava in procura, M.C., che aveva allungato una fotocopia a Buccini. Poi ci fu un’infruttuosa chiamata di Buccini a Borrelli alle 21 e poi un’altra a Davigo che pure smenü, cui si aggiunsero vane di Di Feo a carabinieri che fornirono «smentite non convincenti». Entrambi i giornalisti registrarono dei nastri con le telefonate. Poi, verso le 23, Di Feo fece un’ultima scappata in via Moscova da un comandante dei carabinieri amico suo, cui fece una scena madre; l’ufficiale gli diede una pacca sulla spalla e gli rispose soltanto: «Gianluca, vai a casa, sai che ti voglio bene». E questa è una frase che in via Solferino ritennero fondamentale, perché, se la notizia fosse stata falsa, il generale amico avrebbe reagito diversamente: quell’uomo era un amico storico e familiare di Di Feo, e l’amicizia era importante: anche se, forse, da principio lo aveva pensato anche Paolo Foschini.
In via Solferino, intanto, i vice di Mieli erano all’oscuro di tutto e avevano disegnato una prima pagina senza la notizia su Berlusconi; mentre al piano inferiore, nella stanzetta chiusa di Sallusti, con lui c’erano Di Feo, Buccini e Mieli che preparavano un’altra prima pagina. L’atmosfera era pesante anche perché i colleghi della giudiziaria avevano cominciato a chiamare per il consueto giro di telefonate serali. Alle 21 aveva chiamato anche Foschini, a cui Di Feo aveva risposto: «Nessuna novità». Aveva chiamato anche Peter Gomez della Voce, che per Buccini era più di un fratello: «Nessuna novità». I cellulari trillavano e sembravano insistere, animarsi, pesare come sensi di colpa.
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SCOOP IN PRIMA PAGINA
Ecco infine la vera prima pagina: «Milano, indagato Berlusconi». Si parlava di due soli capi d’imputazione perché avevano avuto appunto un foglio solo. Dirà Buccini: «Il fatto che Berlusconi non lasci completare ai suoi interlocutori telefonici l’elenco delle accuse, chiudendo, induce alcuni astuti esegeti a fare due più due, producendo la straordinaria teoria che sia proprio lui la nostra fonte decisiva». È la stessa insopportabile teoria lamentata da Paolo Mieli lunedì sera: ma gli astuti esegeti, a ben vedere, erano i magistrati di Milano.
Era e resta la tesi della Procura. Davigo: «Resto convinto che la conferma al Corriere l’abbia data l’entourage di Berlusconi». Borrelli, nel 2010: «Pensiamo che la conferma decisiva al Corriere l’abbiano data ambienti vicini all’indagato».
Mieli consegnò la prima pagina e raccomandò che non fosse mandata ai tg della notte per le rassegne stampa, e di non fare la distribuzione serale nelle edicole di Milano e Roma. Poi tutti alla Libera in via Palermo, pizzeria che chiudeva tardi. Mieli si diede ai racconti. Lascerà il ristorante per primo e gli altri tre passerannno dalla solita edicola di corso Buenos Aires dove però non troveranno il Corriere. Mieli si era dimenticato di dir loro che la prima edizione sarebbe saltata. Gianluca Di Feo tornò nel suo appartamento di via Paolo Sarpi. L’ansiogeno Buccini divenne invece un problema di Sallusti, perché Buccini si autoinvitò a casa sua.
Alle 5.40 Gianni Letta chiamò Berlusconi e gli disse che il Corriere della Sera aveva titolato come sappiamo. Le prime conferme giunsero quando Mieli chiamò Sallusti: gli riferì che il Quirinale aveva confermato la notizia. Il problema di avvertire Agnelli lo aveva risolto direttamente Berlusconi, che aveva chiamato l’Avvocato a New York (tre volte) quando lì dovevano essere le 2. Però poi Agnelli aveva chiamato Mieli. I tre giornalisti del Corriere avevano deciso che i nastri registrati e la fotocopia li avrebbe tenuti Sallusti, che fece nascondere il tutto dalla moglie. I tre, dalla mattinata, furono interrogati dai carabinieri e il protrarsi dell’audizione di Sallusti gettò Buccini nel panico. Telefonò alla moglie di Sallusti e lei cercò di tranquillizzarlo, disse che stava portando il materiale fuori città e che si era fermata un attimo dalla parrucchiera. In un nanosecondo Buccini era già lì: entrò, frugò nella borsa e spaventò la proprietaria del negozio che stava per chiamare il 113. Buccini se n’era andato nel bagno del retrobottega e aveva gettato tutto in un water dopo avergli dato fuoco, compresi i nastri magnetici infiammabili: il water eruttò come il Krakatoa.
Leggenda vuole che Paolo Foschini venne poi assunto al Corriere in segno di risarcimento, ma la vicenda non ha fondamento. Anni dopo, quando la cronaca di Milano del Corriere aveva bisogno di un nuovo cronista, Gianluca Di Feo non indicò Foschini, indicò Luca Fazzo della Repubblica. Alla Repubblica lo vennero a sapere e offrirono a Fazzo un milione di lire in più e il grado di inviato. Michele Brambilla del Corriere suggerì Paolo Foschini che ebbe un colloquio col capo della cronaca Giangiacomo Schiavi. Foschini fu assunto dal 1° gennaio 1997. Il direttore era ancora Mieli. Di Feo si ritrovò Foschini a fianco tutti i giorni.
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