Utero in affitto, l'angolo della giustizia: perché è un illecito giuridico
Avere figli non è un diritto: se mai sono i figli ad essere titolari del diritto di avere dei genitori. Partendo da questo principio è possibile addentrarsi nei meandri della presente problematica. Cominciamo dalle definizioni. Per madre surrogata si intende la donna nel cui utero viene impiantato l’embrione ottenuto con fecondazione assistita, appartenente a una coppia committente. Essa si impegna a portare a termine la gestazione e a cedere il neonato alla coppia committente dopo il parto, nonché a fornire il proprio latte al neonato per il tempo necessario.
Nel Regno Unito tale pratica è consentita solo se effettuata per motivi altruistici, con la previsione del solo rimborso delle spese legate alla gravidanza. La madre surrogata quindi non può trarre vantaggi economici, a differenza di quanto avviene nella maternità surrogata commerciale, per la quale circolano cifre non indifferenti a seconda dei Paesi interessati: vedi l’enorme giro d’affari legato al turismo riproduttivo in Paesi come gli Usa in cui si consente di scegliere su internet gli spermatozoi o addirittura il sesso del nascituro. In atri Paesi il mercimonio si attesta su cifre più basse ma comunque significative: così l’India e l’Ucraina.
I motivi a base della scelta sono da ricercare in genere nella paura di perdere il lavoro e nella carenza dei servizi di sostegno. Sono numerosi tuttavia i casi di coppie che non riescono a produrre gameti o che cercano tale via in quanto coppie di omosessuali o single. Il nostro Paese, con la legge 40 del 2004, vietava la fecondazione eterologa, cioè con ovociti e spermatozoi provenienti da donatori esterni alla coppia committente. La violazione del divieto era sanzionata come reato e prevedeva una pena detentiva (art. 12). Sulla base di tali premesse è possibile dare una risposta ai non pochi interrogativi in tema di maternità surrogata. Sul piano etico sembra evidente che siamo in presenza di un “mercato” inaccettabile, caratterizzato da uno sfruttamento delle donne povere che scelgono, per far fronte all’indigenza, di sottoporsi passivamente a una sorta di violenza, privandosi per soldi delle emozioni legate alla maternità, le cui conseguenze sono destinate a farsi sentire dopo qualche tempo.
Ancora più gravi sono gli effetti a carico del neonato: le scienze psicologiche e mediche hanno messo in luce che la voce della madre rappresenta una fonte importante di comfort emotivo. Per questo occorre fissare dei paletti se si vuole evitare una deriva pericolosa. Il bambino non è un oggetto o un giocattolo, ma un soggetto di diritto che va tutelato. Insomma, l’attuale contesto normativo non richiede alcuna modifica, se si vogliono evitare aberranti forme di sfruttamento, di commercio della maternità, di irreparabile lesione della dignità delle donne usate per la gestazione del bimbo. Un folto gruppo di femministe lo ha capito prendendo posizione contro l’utero in affitto. Peraltro, la legittimità dei vari divieti è stata riconosciuta sia dalla Cassazione sia dalla Consulta.
di Bruno Ferraro
Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione