Meloni, il dossier Usa: "Deriva Schlein, che opportunità per lei"
A leggere i giornali della sinistra nostrana, la vicenda di Artem Uss, l’imprenditore-spione russo fuggito il 22 marzo alle autorità italiane che lo avevano in custodia, è uno spartiacque, un trauma che cambia le relazioni con la Casa Bianca. Una storia che torna comoda anche per insinuare l’esistenza di legami non dichiarati tra le istituzioni italiane e il Cremlino, insomma per sostenere che Uss sia scappato non nonostante la sorveglianza italiana, bensì grazie ad essa. Fosse vero, visti i tempi, sarebbe in atto qualcosa di simile a una nuova crisi di Sigonella.
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Per questo merita di essere letto l’editoriale appena uscito sul Washington Post e dedicato a Giorgia Meloni: perché di tutto ciò non vi è traccia, e la presidente del consiglio è descritta come una leader conservatrice abile, pragmatica e affidabile. L’esatto opposto di ciò che sostiene ogni giorno la stampa progressista italiana, con qualcosa di importante in più: il Washington Post è il quotidiano liberal e mainstream per eccellenza, nonché la testata che meglio conosce la posizione dell’amministrazione di Joe Biden. Un giornale nel quale ogni parola che riguarda il capo di un governo alleato come la Meloni, a maggior ragione se il suo partito ha la fiamma nel simbolo, è soppesata e non viene scritta se prima non c’è stato un confronto con le fonti diplomatiche statunitensi che seguono da vicino il “dossier Italia”.
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I PROFETI DI SVENTURA
L’editoriale che i nove decimi della stampa italiana ignoreranno (avesse denunciato l’insorgere di «pulsioni neofasciste», ovviamente, lo avrebbero ripreso in prima pagina) è netto sin dalla titolazione: «L’italiana Giorgia Meloni ha sorpreso i suoi critici». Siccome l’importanza del nostro Paese, anche per un pubblico attento alla politica come quello del Washington Post, è relativa, l’esperto di affari europei Lee Hockstader (uno che due anni fa è stato finalista per il premio Pulitzer) parte dall’abc, informando i suoi lettori che la leader di Fdi è «il primo politico italiano in oltre una dozzina di anni a diventare primo ministro vincendo un’elezione anziché tramite rimaneggiamenti di coalizione». Ma nonostante questo, e pur essendo «telegenica, rapida e brillante», è arrivata al potere «accompagnata dal timore che, in quanto leader di un partito con radici nel fascismo italiano del dopoguerra, avrebbe destabilizzato l’ottava economia mondiale».
Sei mesi dopo, però, «i profeti di sventura», dentro e fuori i confini italiani, sono stati sconfitti. La premier vuole essere vista come «una conservatrice tradizionale» e oggi, riguardo a un tema controverso quale l’immigrazione, «è difficile distinguere le politiche restrittive di Meloni da quelle del presidente Biden». La scelta decisiva, spiega il quotidiano di Washington, dimostrando di conoscere molto bene ciò che accade a Roma, l’ha presa quando la Russia ha invaso l’Ucraina. A differenza di Viktor Orban, di Marine Le Pen e dei suoi alleati Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, la Meloni ha dato un sostegno immediato e «senza esitazioni» a Kiev e a Volodymyr Zelensky, non preoccupandosi del fatto che metà gli italiani è contraria alla fornitura di aiuti militari all’esercito ucraino.
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CILIEGINA
Le credenziali atlantiste della presidente del consiglio, che sono ciò che più interessa al quotidiano e ai palazzi del potere di Washington, sono quindi impeccabili. «La sua schiena dritta ha contribuito a riaffermare il ruolo di Roma nel grande palcoscenico transatlantico come partner affidabile nella Nato. E la sua stella sta salendo anche nel Gruppo dei Sette, che supervisionerà la ricostruzione dell’Ucraina». E ora, «se riuscirà a cavalcare le difficili onde della politica italiana e a gestire un’economia stagnante da circa vent’anni - due grandi se -, il suo successo potrà diventare un modello per altri politici di destra in tutta Europa». Insomma, il tono è questo, la fonte è al di sopra di ogni sospetto e tutto ciò spiega perché chi insiste a dipingere una Meloni isolata sul piano internazionale ha tutto l’interesse a lasciare ignorato un editoriale che dà la misura dei veri rapporti tra Roma e Washington. Ce n’è anche per Elly Schlein, a proposito. Il Pd, si legge nell’analisi, «ha scelto come nuovo leader una politica di estrema sinistra. Schlein, spesso paragonata per modi e abilità comunicative alla deputata democratica statunitense Alexandria Ocasio-Cortez, ha accelerato la deriva centrifuga. Questa per Meloni è un’opportunità per catturare più consensi al centro». Un’altra conferma che «il destino sembra essere dalla parte della Meloni», nota il Washington Post. Non proprio un complimento per la segretaria del Partito democratico italiano, che chissà se avrà mai un trattamento simile da parte del quotidiano più caro ai democratici americani.