Cerca
Cerca
+

Cesare Battisti, polemica per la fiction Rai: "Terrorista trattato coi guanti"

Francesco Specchia
  • a
  • a
  • a

Quando si dice la latitanza che diventa l’anatomia d’un ossessione. «Sono trentacinque anni che Cesare Battisti condannato per banda armata di matrice terroristica riesce a sfuggire alla giustizia italiana...». La voce è quella, gentile, di una giovane funzionaria di polizia incastrata dietro la scrivania di un commissariato illividito, nel tempo, da una pioggia di estradizioni rifiutate e di speranze di giustizia infrante.

 

 

 

Quella voce è anche una delle voci narranti di Caccia all’uomo- Cesare Battisti una vita in fuga ossia la docufiction coprodotta da Rai Fiction e Indigo Stories per la regia di Graziano Conversano in onda stasera su Raitre (e da noi visionata in esclusiva). Racconta la fine dell’eterna fuga e l’arresto dell’ex terrorista pluriomicida Battisti.

 

FINO IN BOLIVIA

E lo fa attraverso la narrazione secca e sincopata di una grande operazione di polizia internazionale che parte da Milano e arriva in Bolivia. Passando dagli anni della dorata latitanza parigina tra frisson intellettuali; e attraversando, in un Suv bianco, le grandi pianure fluviali del Brasile laddove Lula vietò inspiegabilmente l’estradizione del terrorista. E, infine, passando la frontiera con la Bolivia tra militari corrotti che lo perquisiscono e contano le mazzette dei soldi. E, infine, Battisti confida sempre nell’ingiustizia degli uomini per testare il suo grado di impunità spalmata su ben quattro omicidi (sempre fieramente ammessi): un’impunità su cui i suoi fan avevano costruito una sorta di vera e propria leggenda.

 

 

 

La docufiction sul latitante–arrivata dopo l’esperimento omologo sul Generale Dalla Chiesa, sempre in Rai- è un mix tra veri telegiornali e autentiche interviste ai poliziotti che hanno tessuto la paziente strategia investigativa. Ad esse si aggiungono le ricostruzioni con attori tra cui Andrea Cagliesi che interpreta il protagonista. Il quale protagonista, indossando «mille maschere» –come afferma Carlo Bonini che da cronista ne seguì la vicenda- almeno fino al 25 luglio 79 era un «peso piuma del terrorismo». Battisti, in pratica, era uno sfigato del delitto. Si muoveva in un «percorso di criminalità comune» inseguendo sogni di gloria, versando alla causa del Pac, dei Proletari armati per il comunismo, i proventi delle proprie rapine. Poi ecco lo scatto di carriera del nostro. Arriva l’omicidio a Milano, il 16 febbraio 79, del gioielliere Pierluigi Torregiani colpevole di aver ucciso un rapinatore proletario che stava cercando «di riappropriarsi ciò che gli aveva tolto il capitalismo». Torregiani – che rivive in un commuovente ricordo del figlio Alberto finito inchiodato in carrozzella- era ritenuto dal Pac un «miliziano»; e Battisti, per fare carriera nel gruppo terroristico fondato da Arrigo Cavallina (qui presente), l’ammazzò come un cane e ne gettò le spoglie alla causa. La docufiction su Battisti dimostra un raro senso del tempismo.

 

 

 


Viene programmata da Viale Mazzini proprio nei giorni cui la Francia blocca, in ultimo grado giudiziario, l’estradizione per i nostri terroristi colà graditi ospiti; e così spezza le speranza di giustizia delle vittime. Non è una produzione malfatta, questa. Ripercorre i decenni passati da Battisti tra Europa e Sud America, polemiche, intercettazioni e pedinamenti, durante i quali il terrorista ha sempre trovato il modo di sottrarsi alla giustizia. Fino al 12 gennaio del 2019. Quell’anno viene arrestato a Santa Cruz de la Sierra da una squadra speciale dell’Interpol formata da poliziotti italiani e boliviani. Al momento del fermo Battisti ha 64 anni: era in fuga più o meno dal 13 dicembre, quando la Corte Suprema del Brasile, paese in cui viveva dal 2004, ne aveva ordinato l’arresto in vista di una possibile estradizione in Italia, negata in precedenza, per l’appunto, dall’ex Presidente Luiz Inácio Lula da Silva.

 

 

 

Particolarmente importante la parte del racconto sullo speciale salvacondotto culturale avuto da Battisti nel periodo parigino, dopo le pubblicazioni dei romanzi noir Gallimard.Romanzi probabilmente scritti con la bestsellerista Fred Vargas a fare da amante, musa e sodale, mentre il terrorista, elevato a rango d’arte, attesta spudoratamente: «Il mio ruolo da intellettuale era una garanzia col governo francese, per questo motivo nessuno mi ha dato la caccia». Da qui anche la polemica trascinata negli anni tra l’Italia e la Francia a causa le dottrine pro-terroristi di Mitterand e Chirac.

 

 

 

 

INTERVISTE ESCLUSIVE

A corredo della narrazione spicca materiale esclusivo fornito dalle forze dell’ordine: interviste agli investigatori e documenti che ricostruiscono la storia criminale del Battisti e la sua latitanza. La prima parte del film pare propendere con compiacenza verso la figura dell’ «eroe rosso e maledetto» (Battisti con Vargas teneramente avvinto, Battisti che balla con un’anziana, Battisti alla scrivania che sembra Ugo Foscolo). Ma nella seconda parte, ecco la svolta: che sta nel trasformare, nella sceneggiatura, Battisti da criminale d’accatto a mostro qual è in realtà. Un terrorista totale senza ombra di ravvedimento. Carlo Bonini parlando di lui dice: «Siccome si può ingannare tutti una volta, ma non si può ingannare tutti sempre, anche Cesare Battisti ha conosciuto la sua nemesi». Che si realizza dall’olbò che dal Barsile lo riporta in Italia. In sé un prodotto non brutto, ma assai freddo al tatto e all’empatia. Trattasi di una fiction che nulla toglie nulla aggiunge. Puntuale, ma fredda e senz’anima... 

Dai blog