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Cospito, l'ipocrisia della sinistra: tutte le contraddizioni dei finti buonisti

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 Alfredo Cospito

Iuri Maria Prado
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Su questa faccenda di Cospito, e in generale sul regime carcerario del 41-bis, i destri almeno sono stati netti: quell’anarchico doveva rimanerci, punto e basta; terroristi e mafiosi devono stare in cella ventidue ore al giorno, con due ore d’aria, fine; devono vedere i familiari una volta al mese, chiuso il discorso; possono leggere e ascoltare musica se la cosa garba all’amministrazione penitenziaria, e se no buonanotte. Tu puoi rispondergli che tutta quella roba non ha nulla a che fare con l’esigenza di impedire al detenuto di dar fuori pizzini, che è l’esigenza per cui fu apparecchiato quel dispositivo carcerario: quelli fanno spallucce, ti dicono che non gliene frega niente e la questione è risolta. Puoi essere d’accordo o no, ma c’è una specie di coerenza in quell’impassibilità.

 

 

 

Ma i sinistri! Siccome devono esibire la patacca antimafia ti dicono che «Il 41-bis non si tocca!», come ha fatto l’altro giorno il candidato segretario del Pd, Capitan Sopracciglia, ma poi si ingarbugliano sull’appropriatezza della misura quando odorano il caso specifico che magari non compromette troppo i rapporti di servaggio con le procure della Repubblica e con gli influencer togati. E così vanno in delegazione al carcere, guarda caso durante l’imperio del governo fascista, mentre quando al potere ci sono loro i medesimi detenuti possono democraticamente marcire lì dentro e chi se ne fotte. Che è poi quel che succede coi migranti, con la spedizione progressista che va in gommone a misurargli la febbre a patto che a tenerli a mollo ci sia il sovranista, mentre se la carretta del mare va a picco in regime democratico ti saluto. La politica carceraria a norma del codice paraculo

 

 

 

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