Andrea Delmastro, "pm al bivio": cosa succede in Procura
C’era un comitato d’accoglienza degno delle più alte autorità, ieri alla Procura di Roma, a ricevere il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, nella sua prima deposizione da indagato per rilevazione di segreto d’ufficio. Erano ben in quattro a interrogarlo, compreso il Procuratore capo, Francesco Lo Voi, sceso a dar man forte al titolare dell’inchiesta Paolo Ielo, l’ex eroe di Mani Pulite. Il confronto è durato due ore e fuori dalla porta la scorta sentiva solo la voce del parlamentare di Fdi, che argomentava fitto.
La vicenda è nota. Delmastro è chiamato a rispondere di aver parlato con il coinquilino e compagno di partito, Giovanni Donzelli, del rapporto del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sul detenuto anarchico Alfredo Cospito, in sciopero della fame al 41-bis, e aver svelato che la protesta del bombarolo era sollecitata dai boss mafiosi rinchiusi con lui in carcere. Da qui l’accusa in Parlamento al Pd, che aveva preso particolarmente a cuore la causa di Cospito, di aiutare inconsapevolmente e indirettamente Cosa Nostra.
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BASTA SCIOPERO - Gli ulteriori sviluppi sono che il bombarolo digiuno ha ripreso a farsi alimentare, il Pd lo ha mollato per concentrarsi sulla richiesta di dimissioni di Delmastro e Donzelli, sulle speranze dei boss di farsi togliere il 41-bis è stata messa una pietra tombale grazie alla suddetta coppia di parlamentari di Fdi, il Guardasigilli Nordio ha chiarito che le informazioni fornite dal suo sottosegretario erano riservate ma non sottoposte a vincolo di segreto ma ciononostante la Procura di Roma lo ha indagato, su esposto del deputato verde Angleo Bonelli; sì, quello al quale dobbiamo l’elezione di Soumahoro alla Camera.
Da questa situazione sono partiti i quattro giudici dell’accusa ieri, toccando ripetutamente il tema della limitata divulgazione afferente il rapporto del Dap, che non è una caratteristica essenziale del documento in questione ma risulta da una circolare del Dipartimento che l’ha redatto e così l’ha catalogato. Sono questioni di lana giuridica, ma trattandosi di un processo sono quelle che fanno la differenza tra l’avere torto o ragione, l’esistenza del reato o meno. Nella fattispecie, la difesa di Delmastro e dei suoi avvocati è che l’obbligo di riservatezza, proprio perché derivante da una circolare e non da una legge o un atto ministeriale, rivolto a uso interno, per i dipendenti dell’amministrazione penitenziaria. Diversa la posizione del sottosegretario perché, in quanto vertice supremo dell’organizzazione egli è il titolare di quei dati, riservati proprio perché sia lui solo a poterne disporre liberamente, come ha fatto ritenendo di agevolarne la pubblica conoscenza.
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ARGOMENTAZIONI DEBOLI - Sta ai pm ora decidere il da farsi. Politicamente il caso è chiuso con la blindatura che il premier ha fatto del suo sottosegretario e con l’opposizione che ha allentato la presa, un po’ perché le argomentazioni erano deboli, molto perché conviene anche al Pd chiudere la vicenda dei rapporti tra Cospito e la mafia. Un rinvio a giudizio, che andrebbe anche a contraddire le parole del Guardasigilli, potrebbe riaprirlo. In tal caso si replicherebbe lo schema delle procure contro i governi di centrodestra, proprio all’indomani della chiusura dell’ennesimo processo Ruby, vicenda che ha tenuto Berlusconi impegnato per quasi quindici anni, azzoppandolo, e che solo oggi passa per quello che è sempre stata, una battaglia politica di alcuni pm più che un’azione giudiziaria.Il tutto con Salvini ancora alla sbarra per sequestro di persona, altra azione politica delle toghe, per stessa ammissione dei loro vertici.
LE ILLAZIONI - L’attacco a Delmastro potrebbe essere letto come un altolà, per interposta persona, alla Meloni. E già su alcuni giornali dichiaratamente ostili alla premier si legge che un’eventuale messa in stato d’accusa del sottosegretario potrebbe essere un freno alla riforma della giustizia. Sono illazioni, ma non troppo. La sensazione è che il governo della “non ricattabile” Giorgia non sia disposto a barattare con alcunché il proprio impulso innovatore e la cura dei mali della giustizia non sia merce di scambio. Di certo, sarebbe inquietante se la storia del centrodestra alla sbarra si ripetesse anche con Delmastro come se nulla fosse cambiato. Come se non sia uno scandalo che cinque anni fa il sottosegretario alle Infrastrutture, il leghista Edoardo Rixi, non fosse stato costretto a dimettersi perché incriminato salvo poi ritrovarsi oggi, assolto, nella stessa carica, senza che nessuno di coloro che l’avevano ingiustamente fermato sia stato chiamato mai a rispondere. Tanto poi tutto finisce in cavalleria, in primis l’Italia, ostaggio dei suoi vizi atavici e delle sue caste.