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Giustizia malata, Giancarlo Pittelli dentro solo per un "sospetto"

Iuri Maria Prado
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La parolina magica è “sospetto”. E sboccia come una velenosa conferma di ingiustizia dall’ordinanza del Tribunale del Riesame che ha annullato una misura restrittiva ai danni di Giancarlo Pittelli, indagato per roba di mafia nell’inchiesta Rinascita-Scott. Era l’indagine che portava a compimento la “rivoluzione” annunciata in conferenza stampa dalla magistratura inquirente di Catanzaro. Quella dell’Italia da smontare e rimontare come un giocattolo, secondo quanto scenograficamente rappresentò il dottor Nicola Gratteri. L’operazione attuata tramite il rastrellamento di centinaia e centinaia di persone, molte delle quali poi liberate perché non c’erano ragioni buone per tenerle agli arresti.

 


Bene, ora vien fuori che a tener dentro Pittelli era un mero “sospetto”, dunque qualcosa che, come dicono i giudici del Riesame, non bastava né a legittimare prima né a mantenere in vigore poi la privazione della libertà di quell’indagato. Si noti che di questo Pittelli si è parlato dopotutto parecchio perché era un politico, una persona conosciuta, e anche se la cosa probabilmente non gli è servita (anzi, c’è caso che la giustizia si sia incattivita nei suoi confronti proprio per quel suo rango), è certo in ogni caso che la vicenda che lo ha riguardato è finita in cronaca con qualche possibilità di essere almeno conosciuta. Ma quante altre volte sconosciute, in questo Paese, si finisce in galera per un “sospetto” anziché per una ragione consistente? E a nessuno viene il sospetto che una giustizia di questo tipo sia figlia di una vera e propria cultura - la cultura del sospetto - che con una giustizia decente non dovrebbe aver nulla a che fare?

 

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