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Giustizia, ecco perché i magistrati restano impuniti

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Iuri Maria Prado
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No, aspetta un momento: ma i due magistrati del tribunale di Trani condannati a qualche mese di reclusione per aver minacciato dei testimoni, ora che la sentenza è divenuta definitiva potranno ulteriormente esercitare la loro funzione? I nomi possiamo anche non farli, per quanto i cittadini da loro accusati avrebbero diritto di sapere di che affidabile pasta fossero fatti gli autori delle requisitorie: ma è certo che a un magistrato il quale si renda responsabile di un simile delitto mai e poi mai dovrebbe essere consentito di rappresentare l’accusa pubblica o di giudicare chicchessia.

 


Questi due avevano preso di mira dei testimoni, minacciando provvedimenti sulla loro libertà e sui loro beni se quelli non si fossero decisi a collaborare. Ebbene, esiste qualcuno disposto a concedere che l’amministrazione della giustizia continui a valersi dei talenti di un funzionario che si comporta in questo modo? Con quale fiducia un cittadino potrebbe rivolgersi alla giustizia, o esservi sottoposto, quando essa mantiene nei propri ranghi chi è stato condannato per una turbativa tanto grave del processo e dei diritti di chi vi è implicato?

 

Un privato cittadino che minacciasse un testimone sarebbe considerato un gangster, giusto? E si dubita che gli si permetterebbe di assumere incarichi pubblici, giusto? E invece? Dobbiamo pensare che l’autonomia e l’indipendenza della magistratura ricomprendano il diritto di soggiacere a una regola diversa? Dobbiamo tollerare che la toga, anziché rappresentare un segno di credibilità, rappresenti un motivo di sfiducia? 

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